Abisso Sisma

Arriviamo al piazzale di Sella Nevea alle nove in punto. Così eravamo rimasti d’accordo pochi giorni prima, con Leo, attraverso un contatto mail.

Li troviamo ancora avvolti dai sacchi a pelo, sulle panchine, fuori dalla stazione a valle della vecchia funivia. Va beh, chissà a che ora sono arrivati, sono partiti la sera prima, direttamente dopo lavoro. Un viaggio di sette ore per raggiungere Sella dall’Ungheria, e poi ci si lamenta noi della distanza. Nel frattempo, attendendo il loro risveglio, caffè e brioche al bar.

Per poter portare il materiale necessario allo scavo, ho dovuto risparmiare il più possibile lo spazio nei sacchi, rinunciando così a caffè solubile, biscotti, e altre delizie da prima colazione, indispensabili suppellettili per un campo di più giorni in grotta.

Al risveglio ci presentiamo, con Leo e Peter ci si era già visti durante un campo interno all’abisso Led Zeppelin, ma sono passati tre anni da quella volta, in più questa volta c’é Speedy (non ricordo affatto il nome). Con me c’è Alex, alla sua prima esperienza ad un campo interno, ha già avuto modo di farsi le ossa, qua in Canin, partecipando a due punte all’abisso Firn, con la spettacolare verticale del primo pozzo da 500 metri, ma dormire in grotta è tutt’altra cosa. In cinque, tre ungheresi e due italiani, resteremo in grotta per una settimana, per sondare la parte finale delle Japanese gallery, da una parte con uno scavo in frana, dall’altra cercando tra risalite e traversi un possibile by-pass, e nuove gallerie da percorrere.

Saliamo in quattro con la funivia, mentre Peter percorre la pista in scialpinistica, dopo averci affidato i sacchi. Aspettandolo al Gilberti, andiamo a controllare l’agibilità dell’ingresso, che spesso viene ostruito dalla neve. Dopo l’arrivo di Peter e ulteriore caffè al Gilbo, entrano prima in tre, per posizionare le corde sui primi 100 metri di verticale, che vanno disarmati ogni volta, per la possibilità che vengano inglobati nel ghiaccio, che tende a formarsi all’imbocco del pozzo da 50 e di quello da 280. Dopo mezz’ora entriamo, li ritroviamo subito all’imbocco del P50. Dopo qualche passaggio malagevole con due sacchi a testa, siamo all’imbocco del P280, che comincia con un meandro coperto da ghiaccio, per poi gradatamente spalancarsi in un fantastico pozzone.

Dopo un prima parte su cui si scende su diametro 10mm, ad un cambio nodo, in corrispondenza del frazionamento, una corda di dimensioni e disegni insoliti, risveglia in noi preoccupazioni (11 o 12 mm, sembra una corda da barca). Scendiamo al rallentatore, vuoi un pò per la difficoltà che fa la corda a scorrere all’interno del discensore, vuoi un pò per prudenza, nei confronti di una corda che non conosciamo, e che tutto sembra fuorchè fatta per la speleologia.

Al fondo del pozzo, ricevo risposta alle nostre domande. Le corde sono fatte per speleologia, ma sono 11mm gonfiate dal tempo, prodotte probabilmente in repubblica Ceca. Mi spiegano inoltre, che sono soliti armare tutti i grandi pozzi, con corde di almeno 10mm. Peggio per noi che abbiamo cambiato le pulegge prima di entrare, penso. La grotta continua con una serie di pendoli e traversi sopra il pozzo successivo, da 50 metri, da qui cominciano tutti i nuovi rami dell’abisso. Da qui, quattro anni fa, il team ungherese ha cominciato le esplorazioni, portando la grotta da poche decine di metri di sviluppo (era praticamente una enorme verticale), ai quasi 9km (collegandola con l’abisso Fonda e l’abisso Lariceto), e oltre 700m di profondità.

Dopo quattro ore dall’ingresso, siamo al campo, alla profondità di 500m. Si stende un telo, dove adageremo dormiben e sacchi a pelo, niente che assomigli ad una tenda, ma questo già lo sapevamo, e quando via mail avevo espresso la mia preoccupazione, ero stato rincuorato da una presunta, totale assenza (in quel punto), di circolazione d’aria. Certo non c’è vento, ma un leggero movimento d’aria, lento e costante, fa si che durante la notte si depositi sui sacchi a pelo, una “piacevolissima” rugiada. Ci corichiamo dopo una cena a base di buste liofilizzate, nostro nutrimento per i prossimi giorni.

Senza sveglie, ci alziamo che Peter e Speedy sono già partiti da un paio d’ore per cominciare le risalite. Il nostro obiettivo, invece, è cominciare lo scavo nella parte terminale della galleria, che termina con una occlusione di grandi massi, da movimentare. Arriviamo in due ore, scaveremo aiutati dal trapano-demolitore a motore, piccolo Ryobi per gli amici. Partiamo stracarichi di energia, le dimensioni della galleria, un tubo di cinque metri di diametro, fanno sperare di trovare ben presto una prosecuzione. Scaviamo per qualche ora, e da subito ci accorgiamo che la circolazione d’aria è pressocchè nulla. L’ambiente si riempe subito di fumi prodotti dallo scarico del trapano. Continuiamo imperterriti, la nostra monumentale opera di costruzione di muretti a secco, nelle zone adiacenti allo scavo. Il primo a risentire degli effetti nocivi dei gas è Alex, che non avendo mai provato questa esperienza, non comprende da subito la potenziale pericolosità, e in silenzio continua a lavorare, accatastando pietre. Quando poi, un pò tutti risentiamo di mal di testa, giramenti, e sensazioni di vomito, decidiamo che per oggi possa bastare. Ci spostiamo in cerca d’aria, più indietro lungo la galleria. Poi ci dividiamo, Leo vuole raggiungere Peter e Speedy, per controllare i risultati della loro giornata, noi invece decidiamo di tornare al campo, per mangiare e riposare. Per me, il ritorno, è un’agonia. Non avevo risentito in modo eccessivo, fino a poco fa, degli effetti nocivi, ma ora, come faccio qualche passo, devo fermarmi a riprendere fiato. D’altronde, sono quello, che più ha lavorato con il trapano, respirando inevitabilmente, sempre molto vicino al tubo di scarico. Anche Alex dimostra qualche difficoltà respiratoria, ed è ben contento della mia andatura altalenante, più pause, che metri percorsi. Arrivati al campo, dopo una corroborante minestra “i segreti della nonna”, sveniamo nei sacchi letto.

Il giorno dopo, decidiamo di abbandonare momentaneamente lo scavo. Tutti e cinque, perciò, ci muoviamo nella zona esplorata il giorno prima dall’altra squadra. Arrivati sul posto, ci dividiamo in due. C’è un pozzo da 40 metri già sceso il giorno prima, che chiude con fondo di frana. Ma pare che traversando, sia da una parte che dall’altra, possa dare adito a interessanti prosecuzioni. Alex ed io a sinistra, loro tre a destra. I trapani sono due, a noi tocca il ryobi. Chiedo ad Alex di sondare una finestra che potrebbe portarci più comodamente dall’altra parte, ma chiude. Comiciò a traversare sondando la roccia con il martello a disposizione, una mazzetta da un chilo e mezzo!!! Marcio, marcio, marcio……., non c’è un centimetro di roccia sana, va beh, basta far finta di niente. Mi arrampico il più possibile, scaricando sassi di dimensioni notevoli. Pianto il primo fix, mi appendo delicatamente (auto-convincendomi di pesare 20kg), e spostandomi il più possibile da questo, cerco di piantare il secondo, in una posizione scomodissima. Si spegne il trapano, con la punta incastrata a metà foro (e chi ha avuto modo di fare qualche risalita col ryobi, può capire). Dopo i primi cinque minuti passati a bestemmiare cercando di farlo ripartire, riesco a finire il buco. Stringendo il fix, mi accorgo, che continuando così, probabilmente riuscirei anche ad estrarlo tanto è buona la roccia. Mi ci appendo così come sta, e creando una staffa improvvisata, mi alzo il più possibile fino a trovare qualche appiglio quasi decente. Esco in libera per 10 metri, arrampicando su una frana in bilico sul pozzo, arrivo finalmente fuori pericolo e creo un buon ancoraggio doppio di partenza, finalmente su roccia sana. Prosecuzioni, purtroppo, non c’è ne sono, tutto occluso da grandi massi, mi giro, e cinque metri più in alto di me vedo una finestra, illumino all’interno e scopro che arriva proprio là dove avevo chiesto ad Alex di controllare. Dopo un’altra serie di irripetibili frasi a lui rivolte, ritorno sui miei passi, lasciando armato, e insieme raggiungiamo gli altri. A loro è andata decisamente meglio, una serie di gallerie, con il pavimento sfondato da pozzi cechi, porta in una zona molto tettonizzata, da cui, però, pare molto difficile trovare una prosecuzione. Mentre Peter e Speedy si dedicano a risalire un camino, e Leo a rilevare, noi torniamo a recuperare il trapano, per scendere un pozzo inesplorato al di là di una finestra. Armiamo il salto e, scesi 20 metri, ci troviamo sull’orlo di un altro pozzo. Di corda ne avevamo solamente questa, cosi, mentre aspettiamo l’arrivo degli altri per continuare, salgo disarmando, per utilizzare la corda in un traverso proprio sopra al pozzo, che sembra la continuazione della condottina da cui siamo arrivati. Una quasi facile arrampicata, resa ostile dal fondo sdruciolevole, porta ad una bassa galleria che però termina dopo pochi metri in una ostruzione da crollo. Nel frattempo arrivano gli altri, Alex ed io ci fermiamo per una pausa thè, Peter scende il pozzo sottostante, che però, anch’esso, dopo 20-30 metri chiude. Non resta altro da fare che tornare al campo, non prima di aver rilevato e disarmato il possibile. Di passaggio, lasciamo il ryobi in zona scavo, dove torneremo domani. Il ritorno oggi e decisamente più facile, e in poco tempo siamo nei sacchi a pelo.

Il giorno dopo, Peter e Speedy decidono di restare al campo per riposare, mentre Leo, Alex ed io, torneremo sulla zona scavo, per cercare di smuovere qualche grosso blocco nella speranza di stappare il soffitto della frana. In poco più di un’ora di progressione veloce (oggi non portiamo sacchi pesanti in quanto il materiale è stato lasciato in loco), siamo sul posto. Oggi è Leo a dedicarsi di più all’utilizzo del trapano, anche perchè, dopo aver subito un seppellimento da parte di due grossi blocchi (che per fortuna non mi hanno provocato altro che dolore), più scaviamo, più mi prende angoscia nello stare sotto quella miriade di blocchi instabili, non è certo da furbi mettersi a scavare una frana da sotto. Leo, che sembra immune a questa paura, continua imperterrito a mandare giù grossi blocchi, che noi pazientemente sistemiamo erigendo muretti a secco in galleria. Dopo l’ennesimo rischio, mi chiama su per valutare attentamente la situazione assieme, quando arrivo sul limite dello scavo, non servono parole per decidere il da farsi, uno scambio di sguardi di terrore, mette fine allo scavo, e alla cavità, in questo punto. Appena usciti, mentre sistemiamo i sacchi per riportare tutto al campo, il suono delle pietre che si distaccano da sole, continua a regalarci qualche brivido lungo la schiena, immaginando che dieci minuti fa, stavamo la sotto. Tornando al campo, oggi, è Leo, che avendo lavorato di più a contatto con il ryobi, subisce gli effetti nefasti del gas. Il respiro affannato e le continue soste ogni due pedalate sui pozzi, ci indicano le sue difficoltà, ma quando ci offriamo di trasportare noi anche il suo sacco, riceviamo continue negazioni. Arrivati al campo, solita mangiata liofilizzata, condita da qualche wustel tagliato nella minestra, e poi a letto.

 

Mi sveglio, che i tre speleo ungheresi sono già pronti per partire, ancora nel sacco a pelo ricevo una domanda: vieni con noi? : ovvio che si. Mi alzo, e intanto che Peter e Speedy partono, Leo decide di aspettarmi, giusto il tempo di fare una veloce colazione. Faccio qualche tentativo di svegliare Alex, che nel sonno riesce a mugugnare, tra molte maledizioni, qualcosa di simile a: “resto al campo oggi”. Partiamo in velocità, oggi resta l’ultimo obbiettivo del campo, finire delle risalite nei rami “chuck norris zone”. Raggiungiamo gli altri, che nel frattempo hanno praticamente finito, una facile risalita, speedy decide di tornare al campo. Noi tre disarmiamo, e ci spostiamo verso gli altri due obbiettivi della giornata, sotto di noi, i pozzi attivi conducono agli abissi Fonda e del Lariceto. Dopo qualche pietra presa in testa sotto una risalita, Leo arrampica traversando, fino a raggiungere una finestra, e dopo aver allestito l’armo di partenza, lo seguiamo. Da qui siamo alla base di un pozzo, sul soffitto si intravede la forma di un meandro, comincia ora una lunga artificiale, e dopo diversi inconvenienti, batterie scariche e fix esauriti, non avendo portato con me niente da mettere addosso (dovevamo star via solo due ore), subisco gli effetti dell’ipotermia, e avviso loro la mia intenzione di tornare al campo. A breve, ritorno nel sacco a pelo per scaldarmi un pò. Guardo l’ora, le cinque, ma non capisco, controllo che non sia impostato su modalità 12 ore invece che 24, eh no!!, sono le cinque di mattina. Ricevo conferma da Alex che intanto si sveglia poco dopo, siamo partiti dal campo a mezzanotte, gli altri non riuscivano a dormire e così avevano deciso di partire per una punta “notturna”. Quando dopo altre due ore ci raggiungono anche Peter e Leo, ci raccontano i risultati, purtroppo scarsi, ottenuti. La risalita continua, salendo ancora, probabilmente 60 metri, ma non è certo quello che si cercava, cioè qualche finestra che portasse a qualche galleria fossile. Decidiamo, dopo aver valutato l’impossibilità di proseguire con le esplorazioni, di uscire con un giorno di anticipo sui tempi. Fissiamo l’ora di sveglia a mezzanotte, per poter avere tutto il tempo di sistemare i sacchi, e uscire nella prima luce del mattino.

 

 

Una lunghissima notte, intercalata da pause in cui ci si cucina un pò tutto quello che avanza, seguendo la filosofia: “pesa meno in pancia che nel sacco”. Ci alziamo appena alle due, prepariamo i sacchi e sistemiamo il bivacco, ripiengando i teli che ci hanno fatto da pavimento e casa per cinque giorni. Cominciamo a uscire, e procedendo con un buon passo, non troppo veloce, siamo all’esterno prima delle 8 di mattina. Fuori ci aspetta una bellissima giornata di sole, che solo dopo esser stati 6 giorni in completa oscurità, regala agli occhi tutti questi splendidi colori.

Aspettiamo che apra il Gilberti, e dopo un caffè e qualche essenziale birrona per festeggiare la fine del campo, scendiamo a valle. Peter scende con gli sci, Alex, Speedy ed io carichiamo il materiale in funivia, mentre Leo decide di approfittare della bella giornata per scendere la pista a cavallo di un sacco speleo.

Ci salutiamo nel piazzale con gli amici ungheresi, probabilmente ci rivedremo al campo all’abisso Led Zeppelin, e obbligatoriamente facciamo tappa a resia per il solito polletto e birra post-canin.

 

 

Nessun commento presente.

Nessun trackback