Grotta dell’Uragano
La Grotta dell’Uragano, sul versante settentrionale del Monte Musi, è stata oggetto d’esplorazioni e ricerche fin dal 1961. Si tratta di una cavità ascendente percorsa da un torrente interno, aprentesi lungo il “canalone di Barmàn”, che dà origine all’omonimo torrente…
INCONTRO NAZIONALE DI SPELEOLOGIA “SPÉLAION 2003”
SAN GIOVANNI ROTONDO (FOGGIA), 5-8 DICEMBRE 2003
Clarissa Brun & Rino Semeraro
GSSG, Gruppo Speleologico San Giusto, Via Udine 34, 34135 Trieste, Italy, E-mail:elkiwi@virgilio.it
GSSG e Geokarst Engineering Srl, AREA Science Park, Padriciano 99, 34012 Trieste, Italy, E-mail: rino.semeraro@area.trieste.it
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Recenti ricerche sulla Grotta dell’Uragano
(Monte Musi, Prealpi Giulie occidentali)
Riassunto
La Grotta dell’Uragano, sul versante settentrionale del Monte Musi, è stata oggetto d’esplorazioni e ricerche fin dal 1961. Si tratta di una cavità ascendente percorsa da un torrente interno, aprentesi lungo il “canalone di Barmàn”, che dà origine all’omonimo torrente. Recenti studi geomorfologici e idrogeologici hanno mostrato come la grotta sia impostata preferenzialmente lungo grandi fratture subparallele al versante, nei calcari del Trias. Nella zona di uscita, dette fratture, congiuntamente ai piani di strato, risultano in fase di decompressione, consentendo una circolazione delle acque sotterranee, probabilmente in pressione, lungo livelli più bassi ancora intransitabili. La chimica delle acque indica una circolazione idrica veloce, con pochi scambi con la matrice rocciosa. Test con traccianti, effettuati sul grande circo glaciale incarsito del versante N (“acrocoro del Musi”), hanno dimostrato il collegamento tra questa zona di assorbimento e la grotta in oggetto. Infine, un test di tracciamento effettuato nel torrente interno della grotta, dove l’acqua sparisce in un inghiottitoio interno, ha dimostrato il collegamento con la sorgente carsica sottostante denominata “Fontanon di Barmàn”.
Key Words: Grotta dell’Uragano, Esplorazioni, Geomorfologia, Idrogeologia, Test di tracciamento, Mt. Musi, Prealpi Giulie Occidentali, NE Italy.
Recent Researches on “Grotta dell’Uragano”
(Musi Mt., Western Julian Fore-alps)
Abstract
“Grotta dell’Uragano”, on the northern side of Musi Mt., has been object of explorations and researches since 1961. It is an ascendant cavity where a subterranean stream flows; it opens along “canalone di Barmàn” where the homonymous stream originates. Recent geomorphological and hydrogeological studies have shown how the cave mainly develops along master joints which are sub-parallel to the slope, in Trias limestones.
On the exit area, the above-mentioned joints, together with the layer planes, are in a decompression phase, allowing for an underground water circulation, probably in pressure, along lower levels not practicable up to now.
The chemistry of the waters indicates a quick water circulation with few exchanges with the rock. The tracing tests, carried out on the big karstified glacial circus of the northern slope (“Musi plateau”) have shown the connection between this absorption area and the cave in object. Finally, a tracing test carried out on the subterranean stream of the cave, where water disappears in an internal sink-hole, has shown the connection with the underlying karst spring called “Fontanon di Barmàn”.
Key words: “Grotta dell’Uragano”, Explorations, Geomorphology, Hydrology, Tracing test, Mt. Musi, Western Julian Fore-Alps, North-East Italy.
1. Inquadramento geografico
La Grotta dell’Uragano (1315 / FR 556) si apre nel maggior canalone (il “canalone di Barmàn”) del versante settentrionale della catena Cime del Monte Musi (Prealpi Giulie occidentali) (Fig. 1). Il canalone separa, orograficamente, la dorsale del Musi (1.866 m) posta ad E, da quella del Monte Cadìn (1.818 m) posta ad W. Il canalone afferisce ad un bacino superficiale che si forma attorno le quote 1.500-1.300 m sotto il circo tra la cima del Musi (Veliki Rop) ed altre cime innominate verso W, sempre del versante N della catena, in località Poscala, per poi approfondirsi sempre di più, fino a formare, alimentata dal Fontanon di Barmàn a quota 760 m s.l.m., una forra caratterizzata da un’imponente serie di cascate che danno origine al Rio Barmàn. Il Rio Barmàn esce dalla forra attorno ai 630 m di quota, dove inizia a scorrere, non più incassato tra la roccia, in una piana valliva alluvionale, intramontana, sospinto verso E dal forte apporto alluvionale dell’affluente di sinistra Rio Secco (che scende dal bacino del Cadìn), e ricevendo pure le acque dell’affluente di destra Rio Carnizza (che scende dal bacino del Musi).
Fig. 1 – Ubicazione dell’area.
2. Le esplorazioni
Le prime notizie sui fenomeni carsici del “canalone di Barmàn” risalgono all’inizio del secolo scorso quando, il 24 settembre 1906, R. Cosattini e A. Lazzarini esplorarono l’importante Grotta di Barmàn posta nella parte bassa del canalone omonimo. L’esplorazione completa di questa grotta (fino ad una strettoia allora intransitabile) fu però eseguita appena il 26 settembre 1912 da G.B. De Gasperi ed E. Feruglio, che con l’occasione la rilevarono. Nella monografia “Grotte e voragini del Friuli”, pubblicata da Giovanni Battista De Gasperi nel 1916, si hanno le prime organiche notizie, speleologiche e idrologiche, sul “canalone di Barman”, dove vengono non solo illustrate le grotte rilevate ma pure data descrizione del Fontanòn di Barman. Il “fontanòn” (grossa sorgente carsica nella parlata friulana), aveva la bocca nascosta tra giganteschi massi precipitati e qui arrestatitisi, quasi all’apice del canalone, e le acque che ne fuoriuscivano avevano – proprio qui – iniziato a scavare la profonda gola e le cascate (De Gasperi, 1916). Tale, ancor oggi, è rimasto l’aspetto dei luoghi.
Da quell’escursione al Barmàn, con intenti esplorativi e scientifici, da parte dei primi speleologi friulani del Circolo Speleologico e Idrologico Friulano (CSIF) di Udine, dovettero passare cinquant’anni perché qualcuno ritornasse sui loro passi.
Nel dicembre del 1961, speleologi della Commissione Grotte “Eugenio Boegan” (CGEB), di Trieste, dopo aver riesplorato la Grotta di Barmàn risalirono il canalone fino a raggiungere il “Fontanòn”, qui giunti scorsero la bocca di una caverna una trentina di metri più in alto. Era, quella che si chiamerà, la Grotta dell’Uragano (Fig. 2).
Fig. 2 – Ingresso della Grotta dell’Uragano (vista dall’interno) impostato su master joint (foto F. Basezzi).
Occorsero otto esplorazioni, fino al 1964, per conoscerla e rilevarne i tratti di volta in volta percorsi. Pericolosa per le piene, rischiosa da raggiungere in pieno inverno per i tratti a precipizio e le valanghe, fu denominata “dell’Uragano”, come scrisse Gherbaz (1966): “per l’impressionante frastuono delle cascate, in qualche punto così forte da impedirci di comunicare tra di noi, sia pure gridando” (Fig. 3). Questo ciclo esplorativo, che si chiuse davanti ad un sifone, assegnò alla grotta un dislivello totale di 126 m, di cui 17 negativi (dall’ingresso), ed uno sviluppo di 663 m. I rilevamenti topografici furono di Giuseppe Baldo e Mario Gherbaz della CGEB. Sempre la CGEB, con lo speleosub Adalberto Kozel, nel 1967 forzò il sifone terminale (47 m in immersione), aggiungendo un’ottantina di metri di sviluppo ed arrestandosi davanti ad un altro sifone, mentre nel 1983 si rilevò un ramo lungo un centinaio di metri.
Con il 1990 iniziarono le campagne esplorative del Gruppo Speleologico San Giusto (GSSG), di Trieste, sul Monte Musi, zona che era, speleologicamente, praticamente sconosciuta. Furono modernamente concepite, fin dall’inizio, sinergiche tra l’attività esplorativa e quella scientifica. Le esplorazioni, che consentirono la scoperta ed il rilevamento di oltre 230 cavità, procedevano di pari passo con tutta una serie di rilevamenti, indagini, tracciamenti, campionamenti, eccetera, allo scopo di approfondire gli aspetti geologici, geomorfologici, idrogeologici e biospeleologici, ricerche che interessarono non solo l’acrocoro del Musi (il grande circo glaciale del versante settentrionale) profondamente incarsito, ma anche i settori contermini, dalla Valle del Musi al versante S della catena, fino al “canalone di Barmàn” ritenuto, a ragione, il principale esutorio delle acque sotterranee della catena lungo il versante N.
Il GSSG, negli anni 1996-98, visitò per questa ragione più volte la Grotta dell’Uragano. In queste occasioni, oltre a segnalare delle possibili prosecuzioni, ebbe modo di produrre rilevamenti geologici e geomorfologici, misure ed osservazioni idrologiche, ottenere dati sui depositi di riempimento, etc. Porre le basi, infine, per le future ricerche. Nel 2000, una squadra mista tra CGEB e GSSG, trasportò le attrezzature da sub fino al sifone, consentendo a Massimilano Baxa di ripercorrerlo ed immergersi poi nel punto che era stato raggiunto dal Kozel. Dopo circa 25 m di sifone, riemerso, una cascata impedì al Baxa di proseguire. Attualmente, lo sviluppo è attorno a 870 m.
Fig. 3 – Cascata all’interno della Grotta dell’Uragano (foto F. Basezzi).
3. Aspetti geomorfologici
La bocca della Grotta dell’Uragano, cavità complessivamente ascendente, si apre a 796 m s.l.m. alla testata del “canalone di Barmàn” (posizione: Long. 13° 17’ 25”,6 e Lat. 46° 20′ 24″). Si apre in calcari di colore grigio chiaro, oolitici, con vene e plaghe di calcite spatica, alternati a calcari di colore grigio chiaro, spatizzati, a frattura scheggiosa, alternati a calcari leggermente rosati, spatizzati (generalmente oospariti e intraspariti); si tratta dei “calcari grigi di transizione” (facies dei Calcari di Val Venzonassa) (passaggio Retico-Lias inf.) (Anselmi & Semeraro, 1997; Ceretti, 1965).
Allo stato attuale la cavità presenta, come già detto, uno sviluppo di 870 m ed un dislivello di -17m e +116 m. Consta di una galleria, con alcuni brevi rami secondari, che s’inoltra costantemente verso ESE/SE. Nella zona terminale un pozzo di 40 m conduce alla parte più interna del livello attivo (dove entra il torrente ipogeo). Qui un sifone di 47 m verso ESE/SE sbocca in una galleria aerata che si estende per ~30 m fino ad un altro sifone, fino alla quota ~845 m s.l.m. Ritornando alla base del pozzo di 40 m, immediatamente a valle, dopo una cascata, il corso d’acqua scompare in un sifone (di uscita). Esso, con percorso ignoto, riappare da un sifone (d’entrata) nella galleria principale a ~280 m dall’ingresso; da qui il corso d’acqua percorre, con rapide ed una cascata, la galleria fino a scomparire definitivamente in un ulteriore sifone (d’uscita) a ~140 m dall’ingresso a q. 779 m s.l.m.
Il regime torrentizio della grotta è testimoniato, del resto, dai grossi depositi di ciottoli, specie nella prima parte della cavità, sul fondo delle grandi marmitte. Tuttavia, si rinvengono anche sedimenti fini, quali sabbie e limi, evidentemente depositati nel corso di regimi idrici a minor energia; sono costituiti (Cancian, 1997) da abbondanti quantità (fino al 96%) di dolomite e calcite (prevale nettamente la dolomite), seguono, per le frazioni fini, quarzo e minerali argillosi; tra i minerali argillosi prevale illite+muscovite (fino al 55%), segue la clorite (fino al 26%).
Il “canalone di Barmàn” e la Grotta dell’Uragano sono caratterizzati da un notevole controllo strutturale che, oltre ai vincoli morfologici derivanti dagli antichi livelli freatici del massiccio e dalla sua erosione, ha condizionato la loro formazione. Nel canalone ed tutta la parte iniziale della grotta in oggetto i calcari sono stratificati secondo E-W 38°-48° verso N, con potenze, all’ingresso della cavità ed all’interno, attorno 40-50 cm. I sistemi di fratturazione sono gli stessi rilevati sull’acrocoro del Musi; dove qui prevalgono le famiglie attorno N/NNE-S/SSW verticale, ENE/E-WSW-W 40°-70° SSE, ESE/SE-WNW/NW subverticale, SSE-NNW verticale (Anselmi & Semeraro, 1997, 2003). La grotta appare impostata sulla famiglia di master joints ESE/SE-WNW/NW (qui denominata J1), assolutamente prevalente nella speleogenesi locale, mentre molto subordinate appaiono le famiglie N/NNE-S/SSW e SSE-NNW (qui denominate rispettivamente J2 e J3), mentre nella regione di uscita e nel canalone una qualche importanza assume la famiglia ENE/E-WSW-W 40°-70° SSE (qui denominata J4). Il “canalone di Barmàn” appare impostato sulla famiglia di fratture J1, e nella parte bassa anche su estesi strati, mentre l’erosione del torrente è stata guidata lungo il versante E dove ha scavato la forra con le marmitte e le cascate (Fig. 4).
La morfologia della Grotta dell’Uragano è, sostanzialmente, data da lunghe gallerie rettilinee, allungate a sesto acuto lungo le grandi fratture citate, per lo più alte e strette. Sono il risultato di un’intensa erosione, operata dal torrente interno, dove si possono sicuramente osservare almeno tre stadi d’abbassamento. Tuttavia, si deve pure considerare una genesi in ambiente freatico, ancora ben documentata dai tratti in risalita, con morfologie a questa attribuibili.
Fig. 4 – Idrostruttura carsica del “sistema” Grotta dell’Uragano. Rilievi topografici delle cavità: Grotta dell’Uragano (1315/FR556): Giuseppe Baldo e Mario Gherbaz (1963-64), Adalberto Kozel (1967), Umberto Mikolic (1983), Massimiliano Baxa (2000) (CGEB), aggiornamenti e rilievi vari GSSG (1996-2003); Grotta sopra il Fontanon di Barmàn (269/FR164): Livio Stabile ed Elio Padovan (1967) (CGEB); quote in m s.l.m.. Diagramma strutturale: reticolo di Schmidt, emisf. inf., 100 piani proiettati come poli e grandi cerchi delle famiglie di discontinuità principali; frequenze areali: 0-1-3-5>5%, ss: strati; J1, J2, J3, J4: famiglie principali di fratturazione e master joint. Sul profilo geologico è riportato in tratteggio il percorso del Tinopal CBS-X durante il test del 10.08.2003, dall’inghiottitoio interno della Grotta dell’Uragano alle bocche inferiori al Fontanon di Barmàn nell’omonimo canalone. Lo schema idrogeologico adimensionale dell’apparato sorgivo è costruito sulla base dei rilevamenti e dell’interpretazione del test di tracciamento.
4. Aspetti idrogeologici
Durante le grosse piene, il torrente sotterraneo della Grotta dell’Uragano può tracimare dall’ingresso. Non si posseggono misure precise e continuative di portata; stime eseguite in occasione delle numerose visite (nei periodi secchi, per motivi di sicurezza nell’esplorazione) indicano normalmente portate medie stimate attorno @50 L/sec, peraltro assai variabili nel tempo e quindi poco significative; altre osservazioni consentono di stimare anche portate di ³0,5-1 m³/sec. Dalla grotta, normalmente, esce una forte corrente d’aria; tuttavia in alcune occasioni è stata notata un’inversione di corrente nel periodo invernale (flusso debole), ipotizzando trattarsi di un ingresso meteo-basso. Diverse analisi chimiche sono state effettuate su queste acque (precisiamo che la chimica delle acque della Grotta dell’Uragano, del Fontanon e del Rio Barman è praticamente identica); ne riportiamo solo alcuni parametri: la conducibilità δ20°C varia tra 189 e 197 μS/cm, per gli ioni importanti, Ca2+ varia tra 28,9 e 32 mg/L e Mg2+ tra 6 e 8,33 mg/L, bassi tenori che indicano tempi di contatto dell’acqua non lunghi con la matrice rocciosa (le analisi sono state eseguite mediante titolazione e spettrofotometro di assorbimento atomico). Le temperature dell’acqua sono basse, varierebbero mediamente tra 4 e 6°C.
Test di tracciamento, mediante Uranina (sale sodico della Fluoresceina), eseguiti negli anni 1997 e 1999 dal GSSG, hanno dimostrato il collegamento tra il torrente ipogeo della Grotta dell’Uragano e le acque del ruscello terminale dell’Abisso “Roberto Pahor”, la più profonda grotta dell’acrocoro del Musi (–495 m), quest’ultime marcate alla quota di circa 945 m s.l.m. (Anselmi et al., 1997, Anselmi & Semeraro, 2003). Il passaggio tra shaft flow e large conduit flow avviene, quindi, entro poche decine di metri, poiché alla quota 930 m nell’“Abisso Roberto Pahor” il ruscellamento è ancora vadoso, anche se ci sono tracce di sifonamenti, ed alla quota 845 m nella Grotta dell’Uragano le canalizzazioni del livello attivo sono di tipo epifreatico. La Grotta dell’Uragano costituisce la parte terminale del collettore dell’area N che possiede, per lo meno nella regione d’uscita, carattere di “dreno dominante”: risultato di più di un abbassamento del livello freatico, con “fossilizzazione” di una serie di condotte superiori. La zona satura dell’acquifero del Musi sembra essere di minimo spessore, specialmente qui, sul versante N dove è quasi inesistente. Dal complesso delle indagini eseguite, risulta che l’acquifero del Musi, non solo drena verso S in corrispondenza delle maggiori sorgenti poste alle quote più basse (alto Torre), ma pure verso N, verso il “canalone di Barmàn” – qui descritto – dove esiste una notevole circolazione residua in condotte epifreatiche e freatiche, tuttora alte in quota a causa della velocità con cui la forra si è scavata grazie alla neotettonica.
5. Risultato del test di tracciamento effettuato nel 2003
Fino al test in oggetto, solo si supponeva che il corso d’acqua della Grotta dell’Uragano fosse lo stesso, o parte del medesimo, che scaturisce dalla sorgente Fontanon di Barmàn a quota 760 m s.l.m. Tra l’altro, misure in simultanea, in magra ed in piena, del Fontanon di Barmàn e del Rio Barman ai piedi della forra, hanno sempre mostrato un eccesso di portate di quest’ultimo dimostrando l’esistenza di apporti occulti nella forra (Anselmi & alii, 1997). Per scoprire se, e come, vi fosse un collegamento tra il torrente della Grotta dell’Uragano ed il Fontanòn di Barman, è stato realizzato un apposito test di tracciamento. Bisogna inoltre ricordare, o precisare, che il torrente della Grotta dell’Uragano scompare in un inghiottitoio interno a 779 m s.l.m., che il Fontanon di Barman è a quota 760 m s.l.m. (quindi un dislivello di 19 metri), che la distanza apparente (in linea d’aria) tra l’inghiottitoio e il “fontanon” è di ~250 m. Ancora, che a suo tempo era già stata scorta un’uscita delle acque posta circa una ventina di metri più in basso della sorgente, quando questa è in secca o presenta portate minime.
Il test di tracciamento è stato eseguito il 10 agosto 2003. Esso è stato realizzato iniettando, alle ore 13.14, 80 g di Tinopal CBS-X premiscelato (quantità calcolata per rilevare il tracciante solo strumentalmente), nel torrente della Grotta dell’Uragano, in corrispondenza dell’inghiottitoio in cui esso scompare.
Il Tinopal CBS-X è un tracciante che appartiene alla categoria dei “candeggianti” ottici, di formula chimica C28H20Na2O6S2. Presenta un massimo principale d’assorbimento a 346 nm e un massimo secondario a 223 nm, un massimo di fluorescenza a 435 nm (misurato in acqua distillata); la solubilità in acqua a 25°C è di 25 g/L. Per questo motivo può essere disciolto completamente solo in grandi volumi d’acqua; l’impiego di un agente chelante favorisce la sua solubilizzazione. Scarsa è l’influenza del pH e della temperatura sulla fluorescenza del Tinopal CBS-X. É commercializzato sotto forma di polvere granulare di colore giallo chiaro.
Per il rilevamento, è stato impiegato un Fluorimetro GGUN-FL prodotto dal Gruppo di Geomagnetismo dell’Istituto di Geologia dell’Università di Neuchâtel (Svizzera), di proprietà della Geokarst Engineering S.r.l., dotato di una sonda FL20 per misure in pozzi profondi, con il diametro di 48 mm ed un cavo di 120 m. Per quanto riguarda le curve di taratura della sonda, sono state utilizzate soluzioni standard a diverse concentrazioni coprendo il range di sensibilità dello strumento, riuscendo a determinare per il Tinopal CBS-X con accuratezza un intervallo di concentrazioni comprese tra 10-5 e 10-2 g/L.
Il giorno del tracciamento, il torrente della Grotta dell’Uragano aveva una portata di ~15 L/sec: basso deflusso che si rifletteva sull’idrologia del canalone: la sorgente (il Fontanon di Barmàn) era asciutta, mentre si notavano delle scaturigini più basse, nel precipizio della cascata, che si stimò aventi circa la medesima portata. L’esperimento è stato complesso, poiché si è dovuto installare la sonda fluorimetrica da pozzo, faticosa da trasportare, immersa nell’acqua della cascata esterna entro una marmitta che assicurava un immediato e totale ricambio: operazione che ha comportato l’armo e la discesa della cascata (Fig. 5).
Con l’occasione della discesa della forra si è documentato le varie uscite delle acque sotterrane al suo interno, riscontrando due bocche inferiori d’interstrato, attive. Queste si trovano a quote attorno 750 e 745 m s.l.m. e sono ambedue intransitabili (Figg. 6 e 7).
Fig 5 – Posizionamento della sonda fluorimetrica (foto C. Brun).
Fig. 6 – La prima cascata della forra. Le frecce indicano l’ubicazione delle due bocche di interstrato. Si può notare, vicino alla corda, il cavo di trasmissione dati collegato alla sonda fluorimetrica (foto M. Razzuoli).
Fig. 7- Particolare delle bocche inferiori di interstrato (foto C. Brun).
Il risultato: il picco del Tinopal CBS-X, corrispondente ad un unico grande impulso, in sintonia con le caratteristiche di veicolazione di questo tracciante, è stato registrato ad 1h 47’ dall’immissione: 57,58 ppb alle ore 15.01, che nettamente si differenziavano dal “fondo” di queste acque pari a 0 ppb (Fig. 8).
Il tempo di restituzione del tracciante, considerato il regime idrico, di magra ma pur sempre torrentizio, appare piuttosto lungo, per l’esigua distanza apparente da percorrere. Sulla base dei dati esposti, la velocità apparente è calcolata in 138 m/h (3,89 cm/sec). Velocità, parificata convenzionalmente a quella delle acque sotterranee, che, seppur rientrante nel range delle acque dei sistemi carsici di montagna e dei grandi altopiani con dreni dominanti (Ford & Williams, 1966; Gèze, 1962), suggerisce la possibilità che il tracciante sia stato veicolato in una zona satura, pur di limitato spessore, forse in condotti (o una rete di condotti) con contropendenze (a “denti di sega”), di minima sezione. In un ambiente di questo tipo, sarebbero compatibili tempi di circolazione più lunghi rispetto la velocità del torrente della Grotta dell’Uragano scorrente a pelo libero.
Fig. 8 – Curva di restituzione del Tinopal CBS-X.
L’ipotesi trova sostegno nelle ripetute osservazioni eseguite sul sistema d’uscita delle acque, che mostrano come, anche quando il “fontanon” è attivo, sussistano a quote più basse alcune bocche in pressione. Detto sistema corrisponderebbe a fenomeni di speleogenesi connessi con l’utilizzo di fratture di trazione legate alla decompressione del versante (Renault, 1969), come già sostenuto da Anselmi & Semeraro (2003). Nella fattispecie, nella zona tra la Grotta dell’Uragano e la base del “canalone di Barmàn” si notano, effettivamente, interstrati (a franapoggio) beanti che scaricano acque sotterranee in pressione provenienti da laminatoi o canalicoli, di cui la Grotta sopra il Fontanon di Barmàn (269 / FR 164) a quota 780 m s.l.m., sottostante la Grotta dell’Uragano, rappresenta un’evoluzione a vera cavità interstrato ora normalmente abbandonata dalle acque. I piani di strato ss ed i joint della famiglia J4, con J3 e J2, formerebbero una rete, geometricamente favorevolmente orientata in funzione del vettore idraulico, appunto in stato di decompressione meccanica, in cui circolerebbero le acque in pressione all’uscita dal versante. Detto sistema saturo è, in ogni caso, sospeso, giacché tra il Fontanon di Barmàn e la già citata Grotta di Barmàn (a quota 660 m s.l.m.), sviluppantesi in zona vadosa, c’è uno spessore di 100 metri di calcari e calcari dolomitici.
Ringraziamenti
Il GSSG ha potuto condurre queste ricerche scientifiche grazie alla fattiva collaborazione di studiosi afferenti al Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Trieste ed al Laboratorio controlli e analisi della ACEGAS S.p.A., nonché grazie alla Geokarst Engineering S.r.l. di AREA Science Park che ha messo a disposizione il personale di laboratorio ed i mezzi d’indagine. Insostituibile, poi, l’apporto dei tanti soci del GSSG che nel corso degli anni hanno percorso questa montagna, esplorando e rilevando ciò che si trova al suo interno, ogni volta con costanza e metodo scientifico. Per la realizzazione del test di tracciamento effettuato ad agosto 2003, si ringraziano gli speleologi del GSSG Fabrizio Basezzi, Massimo Razzuoli e Luciano Rupini.
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