Una giornata intensa

Dopo diverse settimane di pioggia durante i week-end, sembra proprio che questa settimana ci sia concessa una tregua, cosi decidiamo di tornare in forza al Partigiano.

 

 

Stavolta siamo in sette, i soliti Omar, Flavia, Alex ed io, in più questa settimana vengono con noi due ospiti dalla Sardegna, Boboredu e Manuela, più Giulio di Ronchi, che aveva partecipato alle prime fasi di esplorazione, quando la grotta era ancora piccola e piena di speranze (la nostra picia).

Partiamo con l’intenzione di creare tre squadre con compiti distinti, ma visto che sia Bo e Manuela, che Giulio, non hanno mai visto la grotta, avendo poi timore di non trovare la strada per raggiungerci sul fondo, le squadre diventano due. Omar e Flavia si uniscono a loro rinunciando allo scavo sul fondo, esploreranno il meandro a monte (si legge proprio in faccia che sono dispiaciuti), lasciato inesplorato da troppo tempo vista l’aria che lo percorre.

Alex ed io, invece, partiamo per il fondo attrezzati e decisi a terminare la risalita nella sala grande; (dobbiamo deciderci a dare un pò di nomi che ormai non ci si capisce più niente).

Partiamo verso il fondo, una breve pausa per mangiare qualcosa e preparare il materiale nella prima sala dopo la frana, e siamo sotto le corde lasciate la volta scorsa. Lì, ci eravamo fermati sul marcio, ed inoltre sembrava che avessimo scelto una linea sbagliata di salita. Se dal basso attaccare al centro sembrava la soluzione ovvia e maggiormente arrampicabile, arrivati in alto, ci si rende conto che la continuazione si trova all’estrema destra.

Decido di finire comunque di salire da questa parte per controllare eventuali finestre, e poi nel caso calandomi dall’alto, pendolare attrenzando un traverso più in basso. 

Prima di cominciare, Alex si attrezza con un poncho che l’aiuterà contro il freddo. Si veste e partiamo, anzi parto, per lui ore di attesa nella stessa posizione a passare corda dentro ad un moschettone, grazie Alex. Arrivo all’attacco lasciato l’altra volta, mi preparo, e comincio a battere con il martello, nella vaga speranza di trovare un punto sano in mezzo a quel marciume, scelgo il “meno peggio” e parlo con il fix per convincerlo a non uscire. Mi alzo su questo, e trovo un paio di appoggi che mi danno ancora qualche centimetro, pianto un altro e miracolosamente sembra che il marcio sia già finito, illuso. Con i successivi tre attacchi esco in artificiale, inserendoli praticamente su strati di colata e fango, poi uno buono mi da il coraggio di uscire arrampicando per 5 metri fino a una specie di ripiano formato da una serie di stalagmiti. Sembra fatta, sopra pare stringere ma un attacco sul soffitto da quella posizione mi permetterebbe di pendolare più facilmente verso destra (sul soffitto perché quello è sano di sicuro).

Ancora un fix per alzarmi, visto che la parete e ancora marcia, decido di forare su un ripiano concrezionato, da cui poi, stando in piedi, dovrei posizionare la partenza della calata. Fatto il buco, inserisco il fix, e quando comincio a batterlo mi sembra di sentire uno strano rumore, mi fermo. Provo di nuovo e mi rendo conto che tutto il terrazzo vibra ad ogni colpo, un blocco alto 2 metri, lungo 15 e largo 3-4, con sopra incastrate una serie di pietre di pezzatura notevole, praticamente il tappo di una piccola frana a soffitto. Penso ad Alex che è sotto di me, non gli comunico la bella notizia per preservargli un cuore sano. Cambio punto, e poco dopo e pronto un armo doppio per iniziare a scendere, comunico così di sotto che da adesso può spostarsi per mettersi in un punto più riparato.

Dato che l’altra squadra doveva raggiungerci, e visto che ormai è passato parecchio tempo, cominciamo a sospettare grandi scoperte per loro, così li insultiamo un pò, urlando a squarciagola, per esprimere la nostra invidia.

Scendo, prima seguendo la linea di salita per disarmare, poi risalgo e comincio ad atrezzare spostandomi a destra. Arrivato in un buon punto per cominciare il traverso, mi sposto il più possibile arrampicando in opposizioni precarie tra parete e soffitto, con tre fix sono sul punto che volevo raggiungere. Il tutto intonando un coro a due voci di canzoni triestine con Alex che sta di sotto.

Da qui si vede, subito sopra di me, continuare un camino fossile, di cui però non si scorge che l’inizio, a causa della posizione defilata rispetto alla verticale. Continuando a traversare a destra e restando sempre alla stessa altezza, una diaclasi da cui proviene anche l’acqua sembra proseguire orrizontalmente, ma ne scorgo solo i primi metri. Visto che il trapano sarà presto alla frutta, decido di preservare i pochi fori disponibili per attrezzare da qua una calata, che ci permetterà la volta prossima di salire in sicurezza.

Arrivato alla base trovo un sacchetto verde tremante, è Alex avvolto nel poncho. Mi aiuta nel rifare i sacchi e finire di sistemare gli armi. Torniamo indietro e ci fermiamo ancora nella prima sala, per fumare una sigaretta, sentiamo arrivare le voci degli altri dall’altra parte della frana. 

Una volta raggiunti, invece di raccontarci le loro vicende, in silenzio Omar estrae la macchina fotografica e ci mostra un filmato, condito da sberleffi ai due poveri risalitori.

Ci raccontano che hanno seguito il meandro per almeno 500 metri, incontrando un camino circolare sulla volta che va dritto sparato verso l’alto come un tubo, da cui gocciola acqua come fosse pioggia, diffusa su tutta l’area. Il nome scatta spontaneo, Sanctum. E’ già qua, monta un pò il rimorso di non aver scelto un posto nell’altra squadra. Continuano poi a raccontare: proseguendo nel meandro, che continua oltre il camino, adesso leggermente più stretto (tralasciando alcuni bivi), sono arrivati a sbattere il naso contro una frana da cui esce un vento gelido, ovviamente altamente instabile. Un altro bel lavoro divertente, stuzzicarla dal basso: cercasi speleo-a-perdere.

Decidiamo di dare ancora un’occhiata allo scavo sul fondo. Si infilano Bobo e Giulio, dopo 5 minuti ne esce quest’ultimo preannunciandoci che là sotto, han cominciato a scavare con il casco nella strettoia (una specie di sifone di ghiaia e sabbia), scendo anch’io e ci facciamo passare gli attrezzi da lavoro, paletta e secchiello. Cominciamo a disostruire, solo 5 minuti, commentiamo, intanto che gli altri si fanno il giro per vedere la sala grande. Una serie massacrante di turni di scavo e si può già vedere oltre la curva, ancora due metri e poi allarga. Vista la quantità di aria in aspirazione, all’urlo di “INGRESSO BASSO!! INGRESSO BASSO!!!”, si aggiunge a noi anche Omar, che è tornato dal giro in sala. Quando ormai le forze cominciano a cedere, e sembra di essere stati un pò troppo ottimisti, mi infilo con l’assoluta intenzione di forzare quel passaggio. Una mano avanti con la paletta in mano, ad allargare a tatto, visto che, con la testa girata, non vedo neanche dove vado. Forzo parecchio, penso: “Bon dai, se mi incastro si tratta solo di spostare un pò di sabbia”. Passo. Mi giro e lo comunico ad Omar, si infila anche lui, ed io dall’altra parte allargo ancora, in maniera ora più comoda. Passano poi anche Flavia e Giulio. Percorriamo una sala, c’è scorrimento, ma l’acqua si infila in un pertugio infausto e senza circolazione d’aria. La seguiamo a monte, proviene da un meandro. Mi arrampico per percorrerne un pezzo, continua stretto ma praticabile, ma mi viene chiesto di tornare indietro, perchè siamo già parecchio tardi e sarebbe il caso di tornare verso fuori. Una sigaretta e poi di nuovo attraverso il passaggio appena scavato. Siamo tutti bagnati e pregni di sabbia.

Distribuiamo i carichi nei sacchi in maniera equo-solidale, e cominciamo il lento ritorno verso l’esterno, l’ultimo di noi esce dalla cavità per mezzanotte!!!!

Una redbull al casello dell’autostrada ci permette di guidare fino all’autogrill di Duino, dove, al posto della cena nei sogni di Alex fatta da fettuccine, lasagne e grigliate, ci attende un buon pasto a base di rustichelle e biscotti. Sono le due e mezza che lasciamo l’autogrill, auguriamo un buon sonno ad Omar e Flavia che si devono svegliare alle 6 per andare al lavoro. Santo subito il lunedi libero.

Un grazie a Manuela, Boboredu e Giulio che ci hanno accompagnato in questa fantastica giornata esplorativa. Alla prossima.

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