Lukina jama 2013
Ad inizio agosto, grazie alle amicizie croate di Cavia (Marco Sticotti, CGEB), ci si presenta la possibilità di aggregarsi alla spedizione, organizzata dal gruppo “Speleological Club Zeljeznicar” di Zagabria, che avrà come obbiettivo l’approfondimento del limite esplorativo nel sifone terminale, sondato già fino a 40m di profondità.
Una coppia di sub, con una permanenza di una settimana, eseguirà esplorazione, rilievo e documentazione foto/video. Per permettere loro tutto ciò, dovranno essere trasportati fino al sifone, quota -1392m, una quantità spropositata di sacchi. Già dall’inizio della stagione, con lo scioglimento della neve, i soci del gruppo organizzatore avevano cominciato ad armare la grotta, e a posizionare campi intermedi lungo il percorso. Il mese di agosto verrà così dedicato al trasporto ed esplorazione con l’aiuto di altri speleo, moltissimi croati, serbi, ucraini, polacchi, russi, messicani e noi italiani.
Partiamo nel primo pomeriggio di domenica, in modo da raggiungere in serata il campo. Lungo il tragitto ci fermiamo nella città vacanziera di Senj per raccogliere Gustavo e Roberto, 2 messicani che prenderanno parte all’avventura. Stivati in maniera rocambolesca zaini e ospiti all’interno dell’auto, in 4 con zaini e suppellettili vari in un Matiz, sotto lo sguardo divertito e stupito dei turisti, decretiamo che dovranno starci ancora quattro casse di birra, per non presentarsi a mani vuote. In un supermercato incontriamo alla cassa, per pura casualità, una coppia di ragazzi che, sentendo i nostri discorsi, tra frasi in triestino (tanto si sà, il triestino è come lo spagnolo….), risposte in spagnolo, inserimenti di inglese e tutte le lingue conosciute (e non), e una bella pila di cartoni di birra, intuisce la nostra origine speleologica, e ci svela che anche loro sono diretti alla Lukina. Errore non fu più fatale, organizziamo la loro auto in modo da stivarci le birre, e fare così un po di posto nella nostra. Poi, titubanti nel aver consegnato la nostra unica fonte di birra ad una persona praticamente sconosciuta, assaliti da terribili dubbi (ma sarà veramente uno speleo o scappa con le birre? :-)), decidiamo di marcarlo stretto. Fortuna che anche loro sono muniti di una fantastica auto-macinino, e riusciamo così ad accodarci a loro fino ad arrivare al campo.
Campo di supporto esterno
Salutiamo, ci presentiamo, organizziamo la tenda e i sacchi a pelo e ci prepariamo a festeggiare tutti assieme. Tra un piatto e una birra, discutiamo sul da farsi. Domani, dopo che arriverà il furgone con i sacchi già preparati, cominceremo la discesa. Vista la presenza in grotta di altre squadre, non sapremo fino al momento di entrare, quale campo potremo occupare. I campi allestiti all’interno sono tre, un primo a -350, posizionato su una cengia, uno a -800 circa, sul fondo di un grande pozzo-meandro, e il terzo, nel salone a -1000, il più grande e confortevole. Tutti i campi sono muniti di sacchi a pelo, scorte alimentari e quant’altro si possa desiderare. La serata procede festosa, e al momento scelto per coricarmi, a causa della nebbia che si è instaurata nelle mie pupille, non riesco a trovare la zip che apre la tenda, e dopo 5 minuti di tentativi, decido che anche l’auto tutto sommato risulterà comoda per dormire.
Il giorno dopo, il furgone con i sacchi da trasporto tarda ad arrivare, e l’entrata sembra quasi slittare al giorno dopo, ma prima che i nostri livelli alcolici raggiungano il punto di non ritorno, eccolo posteggiare davanti al bivacco. Dopo aver mangiato qualcosa, ci prepariamo per partire, 20 minuti di avvicinamento dalle auto, che lusso. Scopriamo inoltre che disponiamo di speleo-sherpa, che ci porteranno i sacchi fino all’ingresso, senza parole, fantastico.
Sezione del complesso Lukina jama-Trojama
La squadra sarà composta da tre soci dello Speleolosko Drustvo Cicarija: Davor Superina, Sivle “Elvis” Civokjarb, Stanko Rusnjak; poi il messicano Gustavo Vela, Cavia ed io. L’altro messicano, Roberto, probabilmente entrerà domani, per fare un giro fino al campo a -800 (prima esperienza in grotte fredde). Entriamo dall’ingresso alto del complesso (Trojama), l’entrata della Lukina, da un po d’anni, è occlusa da neve e ghiaccio. Dobbiamo prestare particolare attenzione nei primi tratti della cavità. Secondo istruzioni forniteci, da -100 circa, c’è un tratto nel ghiaccio da affrontare lestamente, dai camini soprastanti ha la tendenza a scaricare blocchi di ghiaccio, che in questo periodo dell’anno si sta sciogliendo. Poi, proprio sopra al campo di 350, bisogna prestare cautela nel non movimentare sassi, perché proprio sotto la verticale c’è la tenda del campo, che quando raggiungiamo ammiriamo protetta da una complicata serie di reti e tiranti istituiti proprio per proteggerla (bel lavoro).
Ingresso della Trojama
Ci aspettiamo per la prima volta in questa zona. Tra Gustavo ed Elvis sembra essere nata una competizione sportivo-agonistica (o forse è il freddo), e decidono di scattare avanti. Giusto il tempo di informarli che sono intenzionato ad aspettare gli altri ed ecco che non li sento già più, Approfitto nell’attesa per curiosare e saccheggiare nelle scorte alimentari del campo. Arrivati gli altri, scendiamo i pozzi successivi incrociando una squadra in uscita, inevitabile sorpassarsi in corda, gli unici terrazzi sono il campo appena lasciato ed il successivo a -800, la grotta non è che in realtà una verticale continua, intervallata da qualche terrazzo e l’unica vera sala è a 1000 metri di profondità. Arrivati al campo di -800, ritroviamo Elvis e Gustavo. A questo punto dovremo rifare i sacchi presenti in loco per prepararne una parte da trasportare. I programmi, secondo la squadra logistica esterna (ogni campo ha un telefono collegato col campo esterno), sono di portare al sifone quelli con cui siamo entrati, tornare a prendere questi e portarli nuovamente al fondo. Vista la facilità di progressione della cavità, optiamo per scendere da subito con due sacchi a testa ed evitarci così inutili andirivieni. Iniziamo nuovamente a scendere, e in meno di 4 ore dall’ingresso (senza neanche correre e compresa un ora di rifacimento sacchi) siamo al campo a -1000. Incredibile, se la paragoniamo con le progressioni a cui siamo abituati negli abissi del Canin. Un’altra breve pausa ristoratrice e partiamo con la calma verso il fondo, sperando che nel momento in cui torneremo al campo, la squadra che ci sta dormendo ora, sia pronta a lasciarlo. Ignari della funambolica avventura che stavamo per vivere.
Campo di -1000
Dal campo, una risalita di una ventina di metri, conduce alla serie di pozzi che sprofondano fino alla sala del sifone, intervallati solo da qualche terrazzo roccioso. A metà strada incontriamo Ivan, vecchia conoscenza di Cavia, incastrato in una nicchia riparata da corrente d’aria e stillicidio, che ci informa stare aspettando, da parecchio tempo ormai, la risalita di uno della sua squadra, conosciuto solo stamattina al momento di entrare, e che gli “amiconi” della sua squadra hanno sbolognato a lui. Continuiamo a scendere, e a poca distanza dal fondo intravedo la sua luce sotto di me. Gli urlo che lo aspetterò sul frazionamento, e che ci sorpasseremo qua. Dopo un attesa abbastanza prolungata, appeso al chiodo, lo sento dare il libera: boh, penso, sarà tornato giù per lasciarci passare!! Comincio a scendere. Arrivato alla sua altezza, mi rendo conto che sta aspettando su di una cengia a metà pozzo, completamente privo di qualsiasi sicura e oltretutto ad una distanza di 5-6 metri dalla corda. Ha pendolato e poi si è slegato completamente senza possibilità di recuperare la corda, evidentemente inesperto e sfinito. Spaventato dopo essersi accorto dell’errore, comincia un interessante scambio culturale in anglo-croato su quale sia il metodo migliore per districarlo da questa situazione. Ma visto che al fraz sopra di me c’è Cavia, decido che farlo passare prima a lui faciliterà la nostra progressione, e alleggerirà me del recupero da circo volante (i ringraziamenti ricevuti poi da Cavia sono stati censurati). Con una complicata mossa stile deviatore umano, Cavia riesce a scendere e allo stesso tempo permettere il recupero della corda da parte dell”‘uomo cengia”.
Il materiale per le immersioni
Sifone di fondo a -1392
Proseguiamo ora in un breve tratto meandreggiante, che sbuca nella sala del sifone. Poco prima lasciamo i sacchi, ammucchiati su altrettanti, portati dalla squadra precedente. Gustavo ed Elvis risalgono, noi restiamo in zona sifone a scattare qualche foto, scherziamo tra noi, mangiamo qualcosa. Quand’è ora di risalire sono passate ormai due ore. Arrivati sul primo pozzo, una luce 50mt più in alto è ancora impegnata nella risalita: “non può essere lui!!”, ci diciamo, e invece ci re-incontriamo proprio con il neo battezzato “Capitan Lumaca”, sullo stesso pozzo su cui lo abbiamo lasciato due ore fa.
Discutiamo tra noi, Cavia ed io resteremo indietro, a scortarlo verso la salvezza, in modo da permettere a Davor e Stanko di poter raggiungere il campo, alla fine resteremo uniti in una gara di attese su pozzi ventilati e scariche di pietre da schivare, provocate sempre dal Capitano (si sa che uno sfinito non fa più nessuna attenzione, per questo non infieriamo, e ci freghiamo a vicenda le nicchie disponibili). Dopo sei ore (per fare 300mt!!!), siamo al campo.
Di ritorno al campo di -1000
Il campo è fortunatamente disponibile, l’altra squadra sta finendo di prepararsi per la risalita. Dopo un abbondante cena a base di pasteta, pane e minestrine liofilizzate, ci dedichiamo alla bottiglia di grappa trovata in loco. Dormiamo qualche ora. I soliti Elvis e Gustavo decidono di partire prima di tutti; Stanko, Davor e “Capitan Lumaca” partono un’ora dopo, quando Cavia ed io siamo ancora imbustati nei sacchi a pelo, li lasciamo andare avanti per non dover tenere un passo lento (ed evitare altre fresche). Colazione generosa, un sorso di grappa prima di risalire, e lasciamo il posto alla squadra appena scesa. In meno di un’ora siamo al campo 2. Qui, re-incontrati con il resto del gruppo, li troviamo stivati nei sacchi a pelo. Poco sopra il campo, c’è una squadra più lenta che sta risalendo, decidiamo di aspettare qua e dare il tempo a loro di arrivare al campo 1, da lì ci avviseranno con il telefono da campo e noi potremo partire. Ci infiliamo nuovamente nei sacchi a pelo e attendiamo. Dopo 5-6 ore sentiamo il telefono avvisare il campo esterno che la squadra è arrivata al campo 1, e si fermerà per un po a riposare, non aspettiamo neanche un secondo per partire. Intanto al telefono ci fanno notare che sarebbe utile portare all’esterno quei sacchi di corde avanzate, abbandonati al campo 2. Mentre la roulette russa dell’assegnazione dei sacchi gira, decidiamo con Cavia di partire più veloci e uscire prima degli altri, per avere tempo, una volta all’esterno, di festeggiare con gli amici del campo esterno. Preso un sacco a testa, scarichiamo così “Capitan Lumaca” a Davor e Stanko (per loro gioia), e ci fiondiamo sulle corde, in poco meno di tre ore passiamo per il campo 1 e ancora altre due ore e siamo fuori. Gli ultimi 150 metri sono veramente lunghi, la luce penetra dall’esterno dando la sensazione di essere a pochi metri da bordo pozzo, psicologicamente bastardo.
Tutta la giornata sarà all’insegna dei festeggiamenti, ma stanotte riesco a centrare la tenda ed aprire la zip, e dormo in sacco a pelo. La mattina dopo ci rifocilliamo, smontiamo la tenda, carichiamo l’auto. Arrivato al campo un imponente personaggio del gruppo locale, esploratore di queste cavità già dagli anni ’70, detto “Makina”, con la consorte si offre di accompagnarci in jeep fino a un rifugio dall’altra parte del monte, che insistono non si possa non visitare. Ci stiviamo all’interno del Defender e partiamo, seguiti da Davor, Elvis e Stanko con la loro auto. Arrivati alla baita dopo mezz’ora di comodo sterrato, il paesaggio è da togliere il fiato, siamo a una quota di 1400-1500m circa, e dinnanzi a noi si apre la vista su tutte le isole dalmate ed il mare adriatico, fino a scorgere in lontananza la costa italiana. Peccato che da questa parte del monte salga una strada asfaltata, e il parcheggio di fronte sia pieno di automobili e turisti, che non riescono comunque a togliere quell’atmosfera magica che il posto e la compagnia ci trasmette.
- Momenti di brindisi a suon di tequila messicana
Brindiamo alla fine di questa breve ma intensa avventura, con la speranza e la promessa che ci ritroveremo, dopo i rispettivi campi estivi, magari per aiutare a portare all’esterno qualche sacco di quella enorme mole di materiale presente in grotta. Makina offre una bottiglia di grappa, e via col secondo giro di brindisi, poi via un’altra birra; faccio presente a Cavia che, già come siamo, non sarà legalmente possibile guidare, se poi continuiamo a ritmi serrati, sarà meglio restare ancora una notte: la decisione è unanime!! E’ un’altra notte di festeggiamenti, e saluti, e brindisi. La tenda l’abbiamo smontata, e non ci sono le condizioni psico-fisiche per rimontarla, dopo aver sistemato Cavia di peso all’interno della tenda materiali col sacco a pelo (alzandolo in cinque), mi trascino verso l’auto, anche stanotte dormirò qua, ma fornito di sacco a pelo le ore scorreranno decisamente meglio. Quando apro gli occhi, vedo una figura in mutande trascinarsi verso l’auto; quella che segue e una di quelle scene che restano per sempre nella memoria: Cavia, non ricordandosi della sera precedente, si è svegliato mezzo nudo, avvolto in un nylon su mezzo dormiben, nel capanno-cambusa. Dopo le dovute spiegazioni sulla precedente serata, ed essersi vestito con il sottotuta rattoppato a nastro isolante, tornato alla tenda materiali non trova più sacco a pelo e materassino, mistero! Nel frattempo esce un personaggio conosciuto, da una tenda in fondo al prato, indicando e chiedendo ad alta voce di chi fosse questo sacco a pelo, usato per dormire durante la notte. In pratica, dopo alcune ricostruzioni-supposizioni, Cavia, svegliatosi per pisciare, ha lasciato il sacco incustodito e apparentemente abbandonato. “Capitan Lumaca” appena uscito di grotta (4 di mattina circa), non trovando il proprio sacco letto, andato a cercare se ce ne fosse qualcuno di avanzo in tenda materiali, ruba inavvertitamente quel sacco cosi comodo, forse ancora caldo. Tornato il proprietario, probabilmente dopo una lunga escursione nei prati alla ricerca della strada del ritorno, accortosi della mancanza dei confort per la notte, decide di sistemarsi alla buona avvolto nei nylon nel capanno adiacente. Forse descritto così non renderà mai appieno l’ilarità scatenata nelle ore seguenti, durante la minuziosa ricostruzione degli avvenimenti, cercando di rappezzare frammenti sparsi di memorie bruciate da Rakija e Karlovacko.
Evitando ulteriori pericolosissimi brindisi di saluto, stavolta riusciamo a partire. La strada di ritorno fino in Istria la facciamo assieme a Davor, Elvis e Stanko. Ci fermiamo per un caffè all’ultimo autogrill e così ci salutiamo anche con loro, con la promessa di rivederci al raduno croato a fine novembre, e magari prima in qualche giro in grotta.
Grazie agli organizzatori, grazie a chi ha partecipato e grazie a chi mi ha permesso di vivere questa fantastica e divertentissima avventura.