CRIMEA 1989 – Relazione XVI Congresso Nazionale di Speleologia

La relazione ufficiale della spedizione presentata dal GSSG al Congresso Nazionale di Speleologia di Udine del 6-9 settembre 1990. Testo disponibile per il download in PDF.

CRIMEA 89
Relazione presentata dal GSSG al XVI Congresso
Nazionale di Speleologia

 

Udine 6-9 settembre 1990

 

L’idea di organizzare la prima spedizione speleologica italiana nell’Unione Sovietica sorse nei soci del nostro sodalizio esattamente un anno fa. Si voleva realizzare un’impresa di qualche prestigio che servisse a ricordare il costante impegno nel campo esplorativo e che onorasse degnamente i trentacinque anni della fondazione del Gruppo Speleologico San Giusto. L’iniziativa si presentava già dall’inizio piena di difficoltà da superare, sia di ordine politico, che burocratico, che linguistico. Ma tutto venne superato grazie al grande sforzo organizzativo profuso da tutti i soci del nostro circolo e dall’aiuto prezioso ricevuto dal gruppo speleologico cecoslovacco “OROCUS” di Bohumin, che si era prestato a fare da intermediario con i nostri omologhi Russi del “Simferopol Speleological Club”.
Il problema più importante che si dovette affrontare era rappresentato dalla difficoltà di ottenere dalle autorità Russe l’autorizzazione a visitare la Crimea, e più precisamente gli altipiani, zona interdetta agli stranieri e costantemente sotto controllo dell’esercito e deIla polizia, che vietano tassativamente l’uso della macchina fotografica e di materiale topografico. Ma grazie alle nostre ottime credenziali e alla preziosa intermediazione del gruppo Cecoslovacco ci venne accordato, da parte del Ministero Sovietico della Cultura e dal “KONSOMOL” (organizzazione giovanile di partito), il permesso di attraversare la penisola di Crimea con le vetture e le relative attrezzature. Evidentemente la “PERESTROJKA” era già nell’aria. Finalmente, dopo tre mesi di preparativi, il 12 maggio giungeva la tanto sospirata e liberatoria partenza, con il seguente itinerario: (ex)Jugoslavja – Austria – (ex)Cecoslovacchia – Russia, attraverso 3000 Km di strade non sempre ottimali

 

La spedizione era composta da sette elementi: Bruno Vivian (capo spedizione), Giuseppe Sfregola (fotografo e naturalista), Furio Premiani (pianificazione), Walter Claus e Alberto Annesi (prima squadra esplorativa), Luciano Perini e Luca Besenghi (seconda squadra esplorativa), sistemati su due vetture e un furgone. Alla partenza i mezzi si presentavano traboccanti fino all’inverosimile sia di attrezzature per la progressione in grotta sia di materiali da campeggio, di pezzi di ricambio per le vetture,di attrezzi da meccanico, di numerose gomme di scorta, di vestiario pesante e leggero per far fronte agli sbalzi delle temperature specie sugli altipiani. A tutto questo vanno aggiunte le scorte alimentari di ogni tipo (bevande incluse) e in quantità tali da metterci al coperto da ogni possibile sorpresa, dato che le notizie avute circa la reperibilità di generi commestibili sul suolo Sovietico erano piuttosto pessimistiche.
L’attraversamento della frontiera Russa rappresentò per noi un momento di grande tensione psicologica, perché dovevamo autocontrollare il nostro temperamento, alieno a quelle formalità di tipo militare. Le ore trascorse sul confine sembravano durare un’ eternità: moduli da compilare con svariate domande a cui rispondere, elenchi di materiali e controlli alle attrezzature eseguiti da cortesi funzionari doganali che avevano compreso il nostro naturale disagio.
Lo scopo della nostra spedizione era principalmente quelle di osservare il territorio carsico di Crimea, di prendere conoscenza della struttura geomorfologica degli Jajly (così si chiamano gli altipiani di Crimea), e delle maggiori cavità del luogo, prelevando campionature di rocce, allestire un erbario ed avviare maggiori contatti con i componenti del Gruppo che ci aveva invitati, per verificare i loro sistemi di progressione e per gettare le basi di possibili future spedizioni sia in Crimea che nel Caucaso.
La durata della spedizione fu complessivamente di tre settimane, ma permanemmo in territorio di Crimea purtroppo per soli quindici giorni.
L’accoglienza tributataci dai padroni di casa, dobbiamo dirlo, fu superiore ad ogni possibile previsione: i componenti del “Simferopol Speleological Club” ci ricevettero con sincera e spontanea amicizia, dopo un prevedibile attimo di perplessità iniziale, dovuta alla presentazione tutta piena di esuberanza che è propria di negli speleologi triestini.
La nostra sistemazione logistica in Crimea fu organizzata in maniera impeccabile: il campo base era la sede dei padroni di casa a Simferopol. Nei momenti di pausa potevamo accedere ad una piscina con sauna presso un vicino centro sportivo. Nei giorni delle escursIoni sugli altipiani, invece, usufruivamo di costruzioni appositamente adattate per il bivacco gestite dagli speleologi Russi.
Per renderci infatti conto delle diverse morfologie speleogenetiche riscontrabili nel territorio di Crimea, abbiamo esplorato più sistemi ipogei situati su diversi altipiani non molto distanti tra loro, ma di tipologie differenti: sull’altipiano Aj-Petri abbiamo esplorato l’abisso Kaskadnaja, sull’altipiano Dolgorukovskoje la grotta Krasnaja Peščera meglio conosciuta come Kizil-Koba, e sul altipiano Čatyr-Dag alcune importanti cavità che avremo l’occasione di esaminare più da vicino. Per il trasporto dei materiali e delle persone nell’impervio territorio degli Jajly ci fu fornito un mezzo militare con sei ruote motrici.

La diretta constatazione che le grotte di Crimea sono degli scrigni contenenti gemme di incomparabile bellezza fu però il fatto culminante della nostra visita.

LA POSIZIONE GEOGRAFICA

La penisola di Crimea non è un isola solo in virtù di una piccola striscia di terra larga appena 8 Km chiamata istmo di Perecop. Subito alle spalle della costa a Sud si ergono a picco sul mare gli altipiani della Crimea per un’estensione di 150 Km fra il Mar Nero e il Mar D’Azov. Questi monti, a settentrione, degradano dolcemente verso la steppa, che occupa i tre quarti del territori di Crimea.
La pianura centrale è molto arida in estate ed è per questo motivo che la zona è stata abbondantemente canalizzata per renderla coltivabile. (foto CRIM12S-L).
Simferopol, che conta 300.000 abitanti, è la capitale della Crimea. Nonostante la città giaccia in piena steppa è vivibile anche d’estate in quanto percorsa dal fiume Salgir; verso Nord è aperta ai venti, mentre verso Sud è riparata dal caldo per la vicinanza degli altipiani del Čatyr-Dag.
Le città che si affaccino sul Mar Nero, come Yalta e Alushta, godono del cima assai temperato dello stesso mare, essendo protette dai venti del Nord. Ecco perché questo tratto di costa può essere paragonato, in quanto a clima e aspetto fisico, a quelle città mediterranee della (ex)Jugoslavia e dell’Italia che si affacciano sul versante Nord-Est dell’Adriatico. Si consideri che la latitudine degli Jajly è di 45° Nord come l’isola dalmata di Cherso.
Data la sua particolare posizione geografica la Crimea è considerata zona strategica dal punto di Vista militare, pertanto interdetta al turismo. I nostri accompagnatori avevano per noi dei permessi speciali. Le località costiere meridionali sono invece meta di un intenso traffico turistico internazionale.

IL CARSO DELLA CRIMEA

Il sistema montuoso della Crimea si sviluppa esclusivamente nella parte meridionale della penisola ed è formata da un anticlinale isolato che si riallaccia alla naturale continuazione della catena montuosa Caucasica.
Il carso della Crimea è formato da una serie di piattaforme carbonatiche, dette Jajly o altipiani, separate fra loro da profonde vallate con scoscesi pendii spesso a strapiombo, che ai riuniscono in lunghi canyon.
Il territorio montano si divide in due regioni e 17 aree carsiche. I più famosi altipiani sono: Demerdzi, Karabi, Aj -Petri, Čatyr-Dag, Dolgorukovskoje. L’estensione complessiva dell’area carsica è di circa 300 Km2. Nella regione occidentale le catene degli Jajly sono monolitiche mentre in quella orientale si spezzano in più o meno atipici massicci carsici piatti. Gli Jajly a meridione degradano rapidamente nel Mar Nero formando suggestive baie, con enormi faraglioni e rocce a picco sul mare. Le propaggini settentrionali dai monti dalla Crimea, invece, presentano dei costoni rivolti sia a Nord che a Sud e si sviluppano lungo l’anticrinale generando profondi canyon. Il presente aspetto degli Jajly è stato condizionato dai processi geologici e climatici avvenuti durante il medio e più tardo Pliocene, quando la principale catena di altipiani cominciò il suo movimento di innalzamento. Durante questo processo, l’influenza dell’attività erosiva delle acque di superficie cominciò ad essere più aggressiva. La maggior parte delle precipitazioni atmosferiche non penetrarono nel sottosuolo, ma formarono dei fiumi che incisero profonde gole lungo tutto il territorio carsico. Più tardi la rete dei fiumi si scompose e una gran parte di queste acque penetrò nel sottosuolo lungo i giunti di stratificazione, dando così origine a diversi tipi di cavità sotterranee, come pozzi, e caverne. Data la particolare forma pianeggiante di questi massicci, le acque meteoriche e nivali sciolte, non potendo essere smaltite rapidamente, penetrarono all’interno in senso verticale interessando a volte anche gli strati successivi. Nell’ era moderna le acque nivali sciolte rappresentano il più importante apporto alla formazione della carsogenesi dei monti di Crimea.
Nei punti più alti, quindi sempre fortemente ventilati e quindi privi di vegetazione ad alto fusto, si possano notare pittoreschi avvallamenti di notevoli dimensioni, resti di una fitta rete di doline risalenti all’era Glaciale.
Il punto focale del carsismo di Crimea è rappresentato dall’altipiano Karabi da cui si stagliano in maniera inconfondibile le vette Karadag e Taj-Kob che superano di poco i 1500 metri di altezza, ricoperte da grandi quantità di calcari emergenti e da sporadici ciuffi d’erba in mezzo ai quali si nascondono i possibili imbocchi di innumerevoli inghiottitoi. Questo carsismo fortemente emergente è dovuto a una notevole quantità di impurità insolubili presenti nei calcari superiori. Le cime denudate da un accentuato processo di carsogenesi, si alternano a profonde gole che richiamano alla mente un mare ondoso pietrificato. La velocità di denudazione dei monti di Crimea è di 21,8 mm in 1000 anni.
Il calcare delle superfici delle vette degli Jajly, comprese fra l’altopiano Karabi e quello del Čatyr-Dag, presenta il caratteristico aspetto a campi carreggiati con avvallamenti, inghiottitoi, fosse ad imbuto spesso con fessure e pozzi sul fondo. Le nude pietre calcaree del Carso Crimeriano si alternano a zone semiscoperte piuttosto vaste ma ben circoscritte. La profondità dei pozzi è variabile e va dai 20 agli 80 metri con il fondo riempito di neve e ghiaccio, che non si scioglie nemmeno nei periodi estivi. L’esplorazione e l’analisi delle cavità degli Jajly ha avuto inizio alla fine degli anni ‘50, con ricerche sistematiche, talvolta molte raffinate. I risultati ottenuti sono molto interessanti; per la loro formulazione sono stati adattati metodi deduttivi e pratici come quelli geomorfologici, cartografici, geologici, idrogeologici, geofisici (geoelettrici) e chimici. Ad esempio sul passo Aj-Petrinskij, è stata controllata, usando reagenti chimici, l’aggressività delle precipitazioni atmosferiche, e i fenomenI erosivi e dissolutivi delle formazioni nevose.
Il carsismo della Crimea è stata studiato e analizzato già dal 1938 da diversi studiosi come Kruber, Zaicev, Gvozdeckij, Čurinev, Ivanov, Golovcine Sokolov; in particolare il prof. Sutov che ha formulato interessanti teorie e similitudini con fenomeni analoghi del carsismo Mediterraneo del Massiccio Mosor vicino alla città di Spalato in Jugoslavia. Mentre il prof. Dubljanskij dell’università di Kiev ha classificato le cavità degli Jajly come appartenenti al tipo sprofondato generato dall’effetto corrosivo-erosivo.

INSEDIAMENTI UMANI

Sin dai tempi dell’età della pietra, la Crimea era abitata dai Cimmeri, Tauri e Sciiti, dediti alla coltivazione del grano, che fondarono la città di Neapolis l’attuale Simferopol (dal greco “città collettiva”).
Nel 6° secolo a.C. coloni Greci s’insediarono in varie località lungo la costa meridionale mentre, a partire dal 4° secolo d.C., la parte orientale della penisola veniva occupata dai Romani. Successivamente, dal 13° secolo in poi, le località sulla costa appartennero a Venezia e Genova. Poi nel 1475 arrivarono i Turchi che vi rimasero fino al 1783, cioè fino a quando Caterina La Grande non costrinse l’ultimo Khan ad abdicare, trasformando la Crimea in una provincia Russa.
La costruzione di Simferopol ebbe inizio nel 1785. Attualmente la città si divide in due parti: quella Asiatica, con viuzze strette e popolata soprattutto da Tartari, e quella Europea. Il materiale usato per la costruzione delle case è principalmente il calcare e la diorite di colore blu verdastro.
Un’altra città di importanza storica per gli insediamenti umani è Bachčisaraj (palazzo dei giardini). Questa città, costruita vicino al fiume Churyuk-Su (acqua marcia), divenne nel 13° secolo, dopo l’invasione dei Tartari dell’Orda d’oro, capitale dell’impero tartaro di Crimea. Scavi archeologici eseguiti nella zona hanno rinvenuto alcune tombe dell’8° secolo a.C., appartenenti ai Tauri. In queste vallate infatti vivevano Tauri, Sciiti, Sarmati, Alani e Greci, dediti all’agricoltura e alla vinicoltura. Sotta la dominazione Tartara la città raggiunse ben presto il suo massime splendore diventando un importante centro commerciale. In quel periodo l’aumento demografico fu enorme tanto che in poco tempo furono costruite 32 moschee.
Nel 1783, quando l’ultimo Khan, Shagin-Girei, venne costretto ad abdicare, cominciò per Bachčisaraj un lento ma inesorabile tracollo economico. Le moschee furono progressivamente distrutte mentre la popolazione di ceppo Tartaro veniva convertita al Cristianesimo, sicché la città perse a poco a poco il suo aspetto orientale. Il colpo più duro, però, le venne inferto dalla guerra di Crimea (1854-1856), svoltasi in questi luoghi, riducendola a uno dei posti più miseri di tutta la Crimea. Nel 1945, a causa di un’assertita collaborazione con i Tedeschi nella Seconda Guerra Mondiale, tutti i Tartari di Crimea vennero deportati nella Russia Asiatica insieme ad alcune minoranze Caucasiche.
A 3 Km da Bachčisaraj si trova una città medioevale fortificata scavata nelle pareti di granito alte 558 m, digradanti con ripidi pendii verso Sud-Est. Costruita agli inizi del 13° secolo, si chiamava Kyrk-Or (40 fortificazioni); in seguito prese il nome di Čufut-Kale. La città, unita alla fortezza, copriva un’area di 18 ettari ed era costituita da 400 abitazioni per una popolazione che si aggirava sulle 5.000 persone.
Da Bachčisaraj si può osservare sia lo sviluppo della città lungo le pareti di un canyon, sia la fortezza arroccata sulla sommità di uno strapiombo. In una delle tante caverne aveva sede il tribunale del Khan e le prigioni per personaggi importanti. La città rimane famosa per aver ospitato la setta ebrea detta dei Karaiti, la quale con il tempo adottò gran parte degli usi e dei costumi dei Tartari. Oggi Čufut-Kale, circondata da possenti mura, è una città morta, fatta di strade silenziose, di case in rovina e di caverne vuote.
Al centro della vallata esiste ancora una sorgente d’acqua che, allora, serviva in caso di assedio prolungato.

L’ALTIPIANO ČATYR-DAG (attico del Paradiso)

L’altopiano Čatyr-Dag si estende per 43 Km2 su due distInti livelli. Quello superiore è situato a 1500 metri sul livello del mare (i punti più alti sono le cime Angar-Burun a 1543 m e la Eklizi-Burun a 1527 m) e quello inferiore ad una altezza media di 1000 m.
La zona è adibita a parco nazionale.
In questa area si conoscono, tra caverne e abissi, 136 cavità, con una densità di 3,2 cavità per Km2. Nella maggior parte dei casi si tratta di pozzi con profondità variabili tra i 20 e 25 metri. Si possono comunque riscontrare anche grossi sistemi sub-orizzontali formatisi dallo scorrimento delle acque. L’intreccio geologico è complesso e composto da più strati. Lo strato superiore e di pietra calcarea ed è il risultato di sedimenti depositatisi sul fondo di mari caldi nel periodo Giurassico più avanzato. Tali sedimenti hanno uno spessore di circa 1000 metri e giacciono sugli strati successivi di arenaria e conglomerati del Giurassico più antico.
Le grotte del Čatyr-Dag erano già note ai primi abitanti della Crimea. Il fatto è stato comprovato da numerosi reperti archeologici scoperti sull’altopiano e nelle grotte. Nelle grotte di Bim-Baš furono trovati centinaia di scheletri di Tartari uccisi da selvaggi predatori che, spingendoli nelle grotte, li uccidevano con il fumo dei loro fuochi. Sotto la cima del massiccio del Čatyr-Dag furono trovate le rovine di un antico tempio greco chiamato Panagia. Nella parte centrale dell’altopiano più basso si conoscono alcune grotte di qualche importanza: la grotta Partisan (lunga 320 m), la grotta Bim-Baš (lunga 110 m), la grotta Gugerdzin (lunga 60 m) e la grotta Suuk (lunga 210 m). Vi è anche una certa serie di abissi come il Move by the Knight (profondo 210 m) e il Bottomless Chasm (profondo 195 m). Ma le più importanti grotte di questa zona sono senz’ombra di dubbio la Emine-Bojir-Chasar-Nižnyj lunga 2400 metri e profonda 125 metri, e la Mramornaja lunga 1800 metri e profonda 105.

LA GROTTA EMINE-BOJIR-CHASAR-NIŽNYJ

La grotta è situata sul margine Nord dell’altopiano del Čatyr-Dag e la sua scoperta risale al 1970. A quel tempo venne rilevato solamente il pozzo d’ingresso ed il suo cono di detriti. Questo pozzo, che misura 6 metri di diametro e 20 di profondità, in epoca molto remota fungeva da inghiottitoio di un corso fluviale di superficie. Nelle successive esplorazioni da parte del “Simferorol Speleleogical Club” venne individuata, ad un’altezza di circa 15 metri dal fondo del cono di detriti, una piccola fenditura che ad una prima osservazione si ritenne fosse una possibile prosecuzione. Si effettuò subito uno scavo di un metro di profondità e di 40 centimetri di diametro, che diede accesso a dei vani successivi. Questo scavo passa sopra ai detriti di antiche alluvioni, trascinate nella grotta dal corso fluviale, che ostruiscono il vero collegamento con il resto del sistema che misura 2400 metri di sviluppo. Oltrepassata la galleria scavata nella viva roccia, la morfologia della grotta varia: si alternano piccoli pozzi e stretti meandri a enormi caverne sotterranee. Passate le condotte meandriformi, si entra in quella parte della grotta dove gli ambienti diventano più spaziosi e la consistenza dei concrezionamenti più pregevole. Le sale che si attraversano sono parecchie ed hanno nomi molto fantasiosi e allo stesso tempo invitanti come: “La casa dei cristalli” – “La galleria dei papaveri ressi” – “Il notturno” – “La galleria della via lattea” – “La galleria della libertà”. La grotta è un tesoro inestimabile nel genere delle incrostazioni calcitiche. Nella sala del “Notturno” si scorgono forme insolite ed incredibili; miriadi di colonne occupano tutto il volume della caverna che misura 80 metri per 30, mentre il soffitto raggiunge, in alcuni punti, i 40 metri di altezza. Per poter procedere, i primi visitatori hanno dovuto abbattere un certo numero di colonne. Le caverne sono disposte su tre diversi livelli, indice della progressiva carsificazione del corso fluviale. Molti di questi ambienti sone rimasti per lunga tempo invasi dall’acqua; ne sono testimoni le formazioni stalattitiche a fungo rovesciato che pendono dal soffitto.
Scendendo ai livelli inferiori s’incontra la “Galleria del papaveri rossi”, adorna di vaschette pensili con i bordi cristallizzati a forma di petali, o forme cristalline come “i crisantemi” o i ciuffi o le sottili cannule in quantità mai viste fino ad ora.
Percorrendo queste antiche condotte idriche è inevitabile pensare a quei tumultuosi corsi d’acqua che dalla superficie della terra si riversavano nel sottosuolo generandole. Ora, invece, le gallerie sono pervase da un millenario silenzio e da un’impenetrabile oscurità che le avvolge tutte e le nasconde gelosamente.
Tale sistema, assieme a quello della grotta della Mramornaja, che dista in linea d’aria un paio di chilometri, si possono considerare le grotte più estese e più belle dell’altopiano del Čatyr-Dag.
Dopo la visita, l’ingresso viene cementate con più di un metro cubo di cemento e tondini di ferro per impedire ai vandali di penetrare in queste meraviglioso mondo da fiaba. L’ostruzione viene abbattuta a colpi di mazza solamente in particolari occasioni. Attualmente il rilievo è in fase di rielaborazione in quanto sono state trovate nuove diramazioni.

LA GROTTA DELLA MRAMORNAJA

Anche questa grotta è stata scoperta dal “Simferopol Speleological Club” nel corso di una campagna di ricerche, condotta nel 1987, sull’altopiano del Čatyr-Dag. La scoperta, sin dall’inizio, si era presentata molto gratificante per i primi esploratori che, dopo (foto CRIM06S-L)essersi introdotti in una piccola fessura del terreno, si sono trovati in una enorme galleria freatica con un inclinazione di circa 25° e lunga 600 metri. La galleria inizialmente concrezionata da colonne bianche, è gremita di massi ciclopici, alti a volte 10 metri che ricoprono i due terzi della sua lunghezza. I crolli sono il risultato di movimenti tellurici, causati dagli assestamenti tettonici, che provocarono la distruzione dei diaframmi che esistevano fra le gallerie dei vari livelli di carsificazione del corso d’acqua. Dati i volumi riscontrati, il fenomeno è da ritenersi inconsueto per il Carso di Crimea, ma conferma l’intensa attività idrica che si sviluppò sugli altopiani nell’era che va dall’alto Neocene al basso Quaternario.

 

Il gruppo di Simferopol, vista la bellezza della cavità, ha pensato di rendere almeno la prima parte della cavità oggetto di interesse turistico, attrezzandola con scale in cemento o comodi sentieri protetti da balaustre. L’illuminazione è affidata ad una cinquantina di potenti fari ad incandescenza alimentati da un generatore militare semovente.
Inoltre il gruppo ha allestito all’ingresso della cavità una serie di ambienti prefabbricati per ospitare i propri soci, gli eventuali visitatori e per riporre il materiale da costruzione. Il soggiorno in questa località è particolarmente gradevole in quanto l‘ambiente circostante incontaminato è simile al nostro Carso sia per il clima che per la morfologia.
Nel corso dell’esplorazione della cavità sono state individuate delle gallerie laterali formatesi da spandimenti del corso d’acqua principale, lunghe più di un chilometro. Questi tratti laterali sono rimasti per diverso tempo riempiti parzialmente d’acqua. A testimonianza di ciò si possono osservare le formazioni parietali che lasciano vedere delle incrostazioni a forma di tetto con forti sottoincisioni, mentre dal soffitto pendono stalattiti a forma di mazze ferrate.

 

Nella seconda parte della grotta, accessibile soltanto agli speleologi, si può assistere ad uno spettacolo di incomparabile bellezza. Il millenario lavoro della goccia carsica ha drappeggiato su pareti, soffitti e pavimenti splendidi ricami con formazioni eccentriche e ciuffi di cristalli scintillanti. Le formazioni colonnarie, le stalattiti e le stalagmiti si susseguono in un intreccio di sale, meandri, scivoli con vaschette ricolme di limpidissima acqua. Le vaschette sono alimentate dallo stillicidio di finissime stalattiti che pendono dal soffitto simili a tanti capelli di cristallo. Tutte le forme secondarie sono ricoperte da un grosso crostello stalagmitico che probabilmente, cela ulteriori prosecuzioni. La grotta è ancora in fase di esplorazione e rilievo.

L’ALTIPIANO DOLGORUKOVSKOJE

Si estende per 118,6 Km2. La sua struttura geologica è molto complessa. La maggior parte dell’altipiano è formata da filoni di arenaria e conglomerati di calcare quarzifero, mentre nella parte Nord prevalgono i conglomerati di calcare. In direzione Nord-Ovest e Nord-Est, per effetto di fenomeni tettonici, l’intero massiccio è frantumato in blocchi. Nella parte Sud di questo Jajly si apre una valle che originariamente si estendeva per 5 Km, ma che attualmente è divisa in una fila di sprofondamenti chiusi, in ognuno dei quali vi è un inghiottitoio (pozzo Averkiev -30 metri, pozzo Marčenko -35 metri).
Qui nascono due corsi d’acqua: il Subotchan e il Krasnopeščernaja i quali, a loro volta, generano due sistemi ipogei, l’abisso Proval e la grotta Kizil-koba, il primo lungo 1150 metri e profondo 104, e il secondo 13.700 metri, distanti l’uno dall’altro solamente 1500 metri. Con traccianti chimici si è constatato che vi è un collegamento fisico tra i due.

LA GROTTA KIZIL-KOBA

La grotta Kizil-Koba (nome Tartaro ) conosciuta anche come “Krasnaja Peščera” (grotta Rossa) è la grotta in calcare più lunga esistente in Russia (13,7 Km) e la decima in ordine generale di lunghezza. (foto CRIM03S-L) Questa cavità prevalentemente orizzontale si è formata nel massiccio dell’altipiano Dolgorukovskoje, circa 500 metri a Nord del villaggio Krasnopeščernoje. La grotta è attraversata dal fiume Krasnopeščernaja che ha una portata media di 0,15 m3 al secondo, e una temperatura di 6° C.
La grotta si sviluppa su 6 livelli differenti creati dal progressivo abbassamento del fiume. Vi si accede attraverso due ingressi posti al secondo e al quinto livello.
La grotta era conosciuta dai primitivi che si erano spinti all’interno per 200 metri. Grandi lavori di scavo hanno messo in luce, nello spiazzo di tufo vulcanico dell’ingresso, una “Bottega primitiva” nella quale sono state trovati un migliaio di reperti: coltelli, raschietti e punte di giavellotti. Fu anche accertato che la grotta serviva come magazzino per i prodotti agricoli delle popolazioni dell’età del Ferro. La lunghezza della parte asciutta, composta da vari piani, è di 2500 metri.

Nel primo piano, a circa 200 metri dall’ingresso, percorrendo un corridoio basso scoperto nel 1957, si arriva al primo sifone lungo 6 metri. Noi abbiamo oltrepassato questo sifone muniti di tute stagne in PVC con scarponi incorporati, sospingendoci in apnea lungo un cavo d’acciaio.

 

Dall’altra parte del sifone si nuota in un lago lungo un centinaio di metri e profondo, in alcuni punti, 10. Di seguito la grotta si snoda in una successione di gallerie, laghi, cascate, sifoni e meandri tortuosi. Vi sono più di 70 laghi. Camminando in questi corridoi allagati si possono ammirare concrezioni molto decorative, quasi tutte di colore nero a causa delle sostanze bituminose presenti nei calcari. Ad un certo punto, dopo aver superato il 2° sifone, attraverso una galleria fossile superiore, la grotta si biforca in due rami: il Razvilka e la Kloaka. Nel ramo principale (il Razvilka) si incontrano ancora 3 sifoni. 5° sifone è il più impegnativo, 25 metri di lunghezza, e lo si può oltrepassare solamente in assetto da “sub”. Quindi ci si arresta al 6° sifone che è impraticabile data la sua strettezza.
Il ramo della Kloaka, invece, è completamente fossile (senza apporti idrici), con ampie sale molto ben concrezionate. Le dimensioni della galleria diminuiscono assumendo proporzioni molto ridotte. In questa parte di grotta si sono notati notevoli accumuli di detriti alluvionali e antichi crolli.

Al ritorno, dopo 14 ore di permanenza in grotta, abbiamo potuto riposare nella vallata prospiciente la grotta, in una casetta attrezzata a rifugio, con 20 posti letto, un fornello a legna per la cottura dei cibi e una tavolata: il rifugio di proprietà del gruppo speleologico Simferopolese.

L’ABiSSO KASKADNAJA

L’abisso è ubicato nel centro dell’altipiano Aj-Petri. Questo altipiano è confinante con la costa del Mar Nero e scende a strapiombo dai suoi 1500 metri fino al livello del mare sulla città turistica di Yalta. L’ingresso si trova sul fondo di un grande sprofondamento, dalle pareti calcaree fratturate dall’opera delle acque nivali in scioglimento. Il pozzo d’ingresso è formato da una vertiginosa verticale di 80 metri sul cui fondo c’è un abbondante accumulo di neve e ghiaccio. Quindi una serie di fusoidi, rispettivamente di 60 e 80 metri, conducono alla fine delle grandi verticali. A questo punto la grotta diventa meandriforme, fangosa, con abbondanti ristagni di acqua e con pozzi della profondità massima di 25 metri. Alla profondità di 400 metri una enorme galleria sub-orizzontale segna l’inizio di una successione di pozzi stretti e fangosi, che conducono alla massima profondità di 620 metri.
All’inizio la grotta è totalmente concrezionata, ma via via che la profondità aumenta, l’erosione si dimostra sempre più attiva.
Per l’esplorazione di questo abisso abbiamo adoperato le corde e attrezzature che ci eravamo portati con noi, pertanto si è dovuto procedere al riarmo di tutto il complesso ipogeo, con l’apposizione di diversi “spit”.

LA TECNICA DI PROGRESSIONE IN USO DAGLI SPELEOLOGI DI CRIMEA

Uno dei motivi per i quali fummo invitati in Crimea dal gruppo di Simferopol fu originato dalla loro curiosità di confrontare, conoscere ed acquisire i nostri mezzi tecnici di progressione. Dopo alcuni animati scambi di vedute sulle reciproche metodologie, abbiamo fatto provare ad alcuni dei loro componenti, proprio in occasione dell’esplorazione dell’abisso Raskadnaja, le nostre tecniche.
Il metodo di progressione usato dal Simferopol Speleological Club è quello di procedere con due corde separate, sia in salita che in discesa. Fondamentalmente, questa scelta è dettata dal fatto che la qualità delle corde russe è scadente e poco affidabile. Queste corde sono di tipo industriale, poco elastiche, con sezioni non costanti e con diametri che vanno dai nove agli undici millimetri. L’intreccio dei trefoli è molto semplice e senza “calzetta” esterna. A causa di questa scarsa omogeneità delle sezioni, l’andamento in discesa è piano di sussulti.
Per la discesa vengono impiegati dei discensori di svariate forme, a “otto” o a “barrette”, quasi sempre auto-costruiti. Il materiale per la costruzione di questi attrezzi è il titanio, ricavato per lavorazione meccanica da parti di mezzi militari fuori uso.
Nella discesa con due corde vengono, in linea di massima, usate due tecniche: la prima è quella di far entrare nel discensore tutte e due le corde; la seconda, invece, è quella di adoperare su una corda il discensore e sull’altra uno “shunt”; gli armi vengono effettuati sopra i ripiani, in facili posizioni, facendo sfregare le corde sulle rocce (tanto ce ne sono due!).
Per fissare gli armi vengono eseguiti nella roccia dei fori del diametro di 14 millimetri e profondi 50, con punte del tipo barramine. In detti fori vengono successivamente alloggiati dei tasselli in alluminio ad espansione; un perno in titanio di diametro 8 millimetri a forma di fungo serve a trattenere la piastrina e a far espandere, mediante percussione il tassello. La piastrine sono costruite artigianalmente in lamiera di ferro o di titanio, con spessori fra i 2 e i 3 millimetri.
Tasselli e piastrine, una volta piantati, rimangono per sempre in posizione in quanto non più separabili. Vengono anche largamente impiegati svariati tipi di chiodi da roccia. Per ogni armo vengono sempre piantate almeno due piastrine onde garantire una maggiore sicurezza. Anche nella risalita vengono impiegate due corde: una per la progressione e l’altra per sicurezza. Sulla corda di risalita i bloccanti adoperati sono tre, mentre un altro viene adoperato sulla corda di sicurezza.
La distribuzione dei bloccanti nel suo complesso ricorda abbastanza il sistema americano, nel senso che due bloccanti eccentrici tipo Gibb vengono fissati ai piedi dell’operatore mentre un bloccante di tipo ventrale viene fissato all’altezza della spalla.
Le imbragature impiegate sono di tipo aeronautico con personali adattamenti. I moschettoni in uso sono di forma standard, forgiati con barre al titanio, con e senza ghiera di sicurezza.
I sistemi di illuminazione sono per lo più elettrici da miniera, con accumulatori del peso di 3,5 kg e la loro durata è di 14-16 ore: l’autonomia diminuisce notevolmente se si usano ambedue i filamenti delle lampadine. Vengono usati anche impianti a carburo auto-costruiti con pezzi ricavati dalle rampe di lancio dei missili SS 20.
Queste sono in sintesi le attrezzature e le tecniche impiegate dai nostri amici russi, tecniche ancora molto ingombranti, ma dettate purtroppo dalla scarsa affidabilità dei loro materiali.
Nell’ultimo giorno della nostra permanenza in Crimea, quando nostalgia e rammarico si traducevano in una festosa ridda di saluti e scambio di indirizzi, sono state gettate le basi per una probabile futura cooperazione in Caucaso, zona che potenzialmente offre ancora grandi possibilità speleologiche.

Comunque, alla fine di questa nostra esperienza, positiva dal punto di vista tecnico, ma soprattutto da quello umano, ci conferma, una volta di più, che gli speleologi – sono accomunati da uno spirito di solidarietà che supera le divisioni razziali, le ideologie politiche e le differenze linguistiche.

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