Risalite nel meandro collettore

Finalmente, dopo un’infinita serie consecutiva di week-end con pioggia, che ci impedivano l’accesso, il 27 di gennaio un varco di sereno, ci permette di tornare ad esplorare al Partigiano.

Arriviamo con la calma, e per le 10 siamo in grotta. Procediamo diretti, senza soste, fino al campo nella sala dell’autogrill, a mezzogiorno siamo sul fondo. Prepariamo i sacchi dividendoci trapani e materiale. Ci separiamo: Omar, Flavia e Tiziana torneranno assieme, al meandro collettore, per cominciare a risalire le zone dove sono presenti evidenti massi di crollo, e di sopra, gli ambienti, sembrano allargarsi, gallerie? Io, invece, tornerò per l’ultima volta alla sala “Ocio de sotto”, per finire di disarmarne la risalita. Procederò da solo, in quanto, come già raccontato in altra pagina dedicata alla sua esplorazione, sulla sommità della sala, si trova un masso di dimensioni ciclopiche, in bilico a 60 metri di altezza, che toccandolo oscilla. E oltre a passarci sopra, per disarmare in corda doppia dovrò inevitabilmente appogiarmici, anche se solo per qualche metro. Risalendo la corda, disarmo fino ad arrivare in cima alla sala, da qui, decido che per non rischiare troppo, mi sposterò traversando cinque metri, e da qui farò la prima doppia, la corda molto lunga, che mi sono portato dietro, pare permettermi di raggiungere il fondo della sala, ma a dieci metri dal terrazzino arrivo sui nodi. Pendolando un pò, raggiungo un fix piantato durante la risalita (per fortuna sapevo dove trovarli), e con un altro anello, una volta assicuratomi a questo, recupero la corda e continuo a calarmi. Torno in fretta al campo, sono curioso di raggiungere il gruppo per riuscire, magari, a unirmi alle esplorazioni. Qui faccio una sosta, mangio qualcosa, e preparo il sacco, per cominciare a portar fuori un pò di corde e attacchi, c’è più roba qua che in magazzino della sede. Mi preparo un sacco sproporzionato, strapieno di corde, attacchi, trapano e mazzetta, che poi in meandro mi farà bestemmiare non poco. Raggiungo gli altri, hanno appena finito di risalire lungo il meandro per la seconda volta. Durante il primo tentativo, mi raccontano, Omar è arrivato ad una galleria, evidente prosecuzione a monte, di quelle già esplorate, ma per continuare, c’era bisogno di allestire un lungo traverso. Così, dopo aver valutato più conveniente ricominciare la risalita più a monte, si sono spostati nella zona del meandro dove, dall’alto, arriva anche una piccola, ma sempre costante, quantità d’acqua. Armata la risalita, raggiungiamo Omar all’imbocco delle gallerie. Come già deciso in precedenza, a Tiziana l’onore di passare da prima questa volta, ha sempre partecipato alle uscite di scavo, e ha sempre mancato a quelle dove si esplorava. Sfata così il mito auto-impostasi, di “portar sfiga”. Procediamo veloci in gallerie di 3-4 metri di larghezza, e 1-1,5 metri di altezza. Siamo costantemente accompagnati dal solco del meandro alla destra, e il rumore costante d’acqua ci ricorda, che in realtà, stiamo percorrendo a ritroso la strada fatta all’andata. Dopo diversi restringimenti, dovuti a crolli della volta o riempimenti sabbiosi, lavoriamo per un pò su una strettoia. Allarghiamo quel che basta per passare, fuori l’aria dai polmoni, si và, continuiamo ad esplorare. Un passaggio esposto, e qualche dubbio di tornare a prendere una corda. Vado solo a vedere che non finisca 10 metri più in là, una volta passato e avvisati gli altri che il meandro continua dritto, mentre la galleria piega bruscamente a destra con un angolo di 90°, ci ritroviamo nuovamente tutti e quattro in esplorazione, continuiamo ancora diverse decine di metri fino ad un restringimento, depositi e concrezioni non ci permettono di passare oltre. Peccato, proprio quando cominciava a farsi più interessante, prendendo una diversa direzione. Torneremo per rilevare, scarichiamo un pò di blocchi di sabbia dalla sommità, per poi, percorrendo la strada in uscita, capire fino a dove galleria e meandro sono una cosa sola. Tornando indietro, finiamo la risalita, per capire da dove venga l’acqua che gocciola dal soffitto, ma già dopo aver superato un piccolo strapiombo piantando due fix, si intravede solamente una fessura, di dimensione non consone al passaggio di un essere umano. Lasciamo armato per tornare a rilevare, prepariamo i sacchi, ci congratuliamo a vicenda per il peso (anche Omar si porta fuori un bel blocco), e partiamo verso l’esterno. Usciamo in 3 ore, leggermente più lenti delle altre volte, ma decisamente più carichi. E’ incredibile come, dopo un anno dalle prime esplorazioni, ogni volta che torniamo in questa grotta, non c’è ne una che ci vada a vuoto, ogni uscita ci scappa un esplorazione (escludendo il primo mese passato a disostruire il meandro iniziale).

Dopo 10 minuti di camminata, sotto una luna pienissima, che illumina a giorno i prati coperti di neve, una volta cambiati, stanchi ma soddisfatti, continuiamo a pensare a tutto ciò che ancora resta da esplorare all’interno di questa grotta, a tutte le risalite lasciate ad aspettare, alle condotte dormienti che attendono una disostruzione, e una esclamazione sgorga spontanea dal profondo: ********!!!

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