Grotta Damocle

La storia e le immagini di una delle tante scoperte del GSSG sul Carso triestino.

GROTTA DAMOCLE

Alcuni giorni fa sono andato a vedere il film “l’Abisso”, pellicola che parla dell’esplorazione della Spluga della Preta. Il modo in cui è stato realizzato e presentato mi è piaciuto molto, perché mi sono riconosciuto in molte delle situazioni viste, e allo stesso tempo mi ha fatto riflettere ancora una volta sulla mia grande passione per l’ambiente sotterraneo.

Da alcune settimane ho ripreso l’esplorazione in una grotta da me scoperta nel 2004. Come nei migliori racconti, posso dirvi che questa è una lunga storia, iniziata in una fredda giornata di febbraio di tre anni fa, quando vagabondavo per il Carso, fuori da qualsiasi sentiero.
Ero in cerca, più che di grotte, del mio “Io”.

Stavo camminando nella zona di Zolla, lungo i pendii che precedono il monte Orsario, quando all’improvviso mi sono trovato in una avvallamento tra due colline, dove si estende un bellissimo karren.

Le probabilità di trovare qualcosa di nuovo erano basse ma visto che non mi costava nulla ho cominciato a perlustrare la zona. Circa a metà del karren mi sono imbattuto in una depressione e, in mezzo a una serie di blocchi di roccia, ho rintracciato l’apertura di un piccolo baratro di circa 3 metri.

Ero indeciso se scendere o lasciar perdere, anche perché le pareti sembravano abbastanza lisce, non avevo nessuna corda e nessuno sapeva dov’ero.

Ho deciso comunque di scendere e dopo aver raggiunto il fondo mi sono accorto, con mio grande stupore, che sopra la mia testa era sospeso un masso di notevoli dimensioni, sorretto solo da un piccolissimo spigolo, in un equilibrio che definire precario è poco.


Ho trovato il nome della grotta”, ho pensato, “Damocle!”.

Mi sono guardato rapidamente attorno e quello che non avevo vagamente sperato si è concretizzato davanti ai miei occhi: un rigoglioso sprazzo di muschio sventolava sulla parete, mosso da un alito caldo che usciva da un pertugio semiostruito dalle pietre del fondo.

Dopo aver spostato alcuni sassi, ho intravisto un cunicolo scendere alcuni metri, ma il lavoro per allargare il passaggio era notevole e quindi mi sono riavvicinato all’esterno, ripromettendomi di ritornare a breve.

Nelle tre uscite successive, riuscivo ad allargare i primi passaggi, tanto da permettermi di scendere due piccoli pozzi e fermarmi davanti a un altro passaggio stretto. Il rumore delle pietre che però riuscivano a passare mi facevano sperare in un altro pozzo di dimensioni molto maggiori, perciò la mia fantasia già correva per pozzi e gallerie, ma dovevo cercare comunque di rimanere con i piedi per terra.

Finalmente dopo aver allargato l’ultima strettoia ero riuscito a introdurmi nel nuovo pozzo, e così, dopo aver improvvisato un armo, ero sceso, con il cuore in gola, nel buio di un nuovo ambiente, mai visto da nessun altro.

A tre quarti della discesa ero atterravo su un terrazzino, ma subito mi ero accorto che in realtà il pozzo continuava con un altro salto. Le emozioni non volevano finire e per fortuna avevo ancora qualche metro di corda a mia disposizione.

Dopo aver preparato un altro armo di fortuna, ho sceso quest’ultimo salto che mi ha portato sul fondo di questo pozzo, che una colata calcitica sembrava chiudere ad ogni prosecuzione.

Ma in realtà, alcuni fori nella parte terminale, davano qualche speranza: non restava che risalire e rendere partecipi delle nuove scoperte i miei compagni Max e Clarissa.

Dopo alcune settimane sono ritornato ad immergermi nel pozzo assieme a Mauro, che di buona lena mi aiutava a scavare nella parte più promettente. In realtà ci siamo accorti molto presto che sotto la colata c’era, su un lato del pozzo, un nuovo ambiente, che per lungo tempo era rimasto celato da questo deposito, ma soprattutto tutta l’aria sembrava venire proprio da lì.

Purtroppo, nonostante i nostri sforzi, il nuovo pozzetto continuava a resistere e a risultare intransitabile; in più, a rendere le cose ancora più difficili, era la scarsità di spazio per sistemare le pietre che spaccavamo. Non rimaneva che desistere e tornare meglio organizzati.

Verso metà marzo, ritornavo con Mauro e Stefano. Avevamo con noi anche dei tubi da impalcatura, con i quali creare un ripiano artificiale dove accatastare le pietre.

 

Eravamo riusciti ad aprire l’ingresso, così subito mi ero infilato cercando di scendere quei 5 metri scarsi che ci separavano dal fondo, ma la solita e immancabile strozzatura, a circa un metro dal fondo, mi aveva impedito di proseguire. Ancora una volta la grotta si era fatta negare e non mi restava altro che la fantasia, compagna di un viaggio immaginario oltre quei diaframmi di roccia che ci dividevano dall’ignoto.

Purtroppo passerà un anno intero di completo oblio, un anno sabbatico durante il quale altre attività mi vedranno coinvolto, ma il pensiero, ogni tanto, non poteva ritornare a quei luoghi, e la nostalgia di nuove scoperte si faceva sempre più pressante.

Finalmente, siamo a gennaio del 2006, mi infilo nuovamente nel buio della Damocle. Con nuovi propositi: disarmo assieme a Marina la grotta con l’idea di farvi ritorno con i primi freddi autunnali, per allargare le strettoie iniziali che ancora rendevano la discesa, e soprattutto la risalita, molto impegnative.

È settembre, e assieme a Stefano e Tiziana allarghiamo l’ingresso e il primo pozzo. La domenica successiva rieccomi con Marina a finire la seconda strettoia e infine, con una terza uscita in solitaria, allargo il passaggio sul pozzo. Ora non restava che riprendere i lavori sul fondo.

Finalmente siamo arrivati ai giorni nostri: con due uscite, dopo aver innalzato con altri ponteggi il ripiano, riesco a scendere il fantomatico tubo ma, malauguratamente, raggiunto il fondo, una stretta spaccatura mi lascia solo intravedere un nuovo ambiente meandriforme.

Nonostante le mie poderose mazzate, quelle di Francesco e di Ilario, non ci è stato concesso di passare. Per l’ennesima volta dovevamo interrompere l’esplorazione al culmine di una nuova scoperta.
Ritornavo a casa ripensando quello che ero riuscito a intravedere, e cercavo di immaginare tutte le possibili prosecuzioni.

Sono stanco, pertanto cado presto in un sonno profondo, ma nel mezzo della notte mi sveglio di soprassalto. Ho avuto un incubo, un incubo nel quale gridavo: “No! No! No!”.

Mi ero immaginato che oltre quel passaggio scendevo lungo una china detritica dalla quale affioravano dei rifiuti; dietro ad una curva si apriva una cantina, immacolata, e dentro c’era una persona. Incredulo chiedevo chi fosse e la risposta era disarmante: “questa è casa mia, cosa ci fa lei qui?”.

Edo
Febbraio 2007

 

 

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