Intrappolato sul Canin 3 – 28.09.2004

L’odissea di uno speleologo intrappolato in una cavità sul massiccio del Canin (Alpi Giulie)

Riemerge dal Canin lo speleologo triestino bloccato a 430 metri sotto terra. «Senza quella nicchia non ce l'avrei fatta»

«Vivo per miracolo sul fondo dell'abisso»

UDINE. Stefano Krisciak ce l'ha fatta. Dopo aver trascorso cinque giorni intrappolato a 430 metri di profondità in una grotta del gruppo del Canin, ieri alle 13.30 lo speleologo triestino è riemerso alla luce del sole.
Il trentasettenne è stato subito trasportato in elicottero all'ospedale di Udine, ma le sue condizioni generali sono più che buone. «So di essere vivo per miracolo – ha detto Krisciak – e devo la mia salvezza all'attrezzatura adeguata che avevo con me e a una nicchia nella roccia che mi ha permesso di sopravvivere così a lungo».

Marco Ballico a pagina 16


Lo speleologo triestino Stefano Krisdak pochi istanti dopo essere uscito dalla grotta sul Canin. (Foto Anteprima)




Ieri alle 13.30 è riemerso in superficie Stefano Krisciak che da giovedì scorso era intrappolato in un abisso sul monte Poviz nel gruppo del Canin

Lo speleologo è salvo: «Cinquanta ore da incubo»

«Mi sono rifugiato in una nicchia. Ho sottovalutato le previsioni meteo ma voglio riprovare l’impresa»

E’ salvo lo speleologo triestino Stefano Krisciak, 37 anni che era rimasto bloccato da giovedì scorso nell’abisso «Gronda Pipote» sul monte Poviz, nel gruppo del Canin. Lo speleologo è stato riportato in superficie poco dopo le 13.30. È riuscito a riemergere praticamente con le proprie forze, seguendo le indicazioni che gli sono state fornite dalle squadre di soccorso che da domenica avevano raggiunto quota 1800 metri e che lo attendevano all'uscita. Gli uomini del Soccorso alpino speleologico (in questi giorni sono state mobilitate oltre 60 persone) avevano lavorato ininterrottamente per guidare la difficile risalita.
Nonostante i cinque giorni trascorsi nell'abisso, le condizioni di Stefano Krisciak sono sembrate da subito soddisfacenti. Appena uscito, lo speleo triestino è stato fatto salire sull'elicottero della protezione civile.
Un medico del soccorso alpino, presente a bordo del velivolo, ha effettuato la prima visita.
Krisciak è stato quindi portato all'ospedale di Udine per venir sottoposto ad una visita medica più approfondita.


Il momento in cui Krisciak riemerge. (Per concessione Rai)

«Aspettavo tre giorni di bel tempo. Ma non arrivavano mai, non arrivano mai…». Stefano Krisciak è disteso su un lottino del Pronto soccorso, a Udine. Stanco, ma vivo. «Lo so, ho rischiato di morire», dice a bassa voce tra un prelievo e una visita medica. «Sto bene – rassicura – sono solo un po' frastornato». Sa di essere un miracolato: «Senza quella nicchia, non ce l'avrei fatta». Sa anche di aver sottovaluto le previsioni del tempo: «Non erano chiarissime, ma non avrei dovuto rischiare». Debilitato ma lucido, dopo essere risalito solo poche ora prima dai 430 metri di profondità dell'abisso «Gronda Pipote».
Krisciak, quale è il primo ricordo?
La giornata di oggi (ieri per chi legge, n.d.r.), l'aver rivisto mio fratello Roberto, gli amici, il bel tempo, il sole. C'erano le persone care che conosco da anni, un'emozione intensissima.
Ma che cosa è successo?
Forse ho sottovaluto le previsioni e mi sono ritrovato in difficoltà.
Quando ha capito che qualcosa non andava?
Venerdì mattina. Risalendo il primo pozzo attivo, ho sentito uno stillicidio fortissimo e subito dopo ho visto la cascata.
E poi?
Poi, tre metri a destra della mia verticale, ho trovato una nicchia. E' stata determinante a ripararmi dalle cascate e a consentirmi di non bagnarmi troppo. Altrimenti…
Altrimenti?
Altrimenti, in un abisso così, un inghiottitoio molto acquatico si può rischiare seriamente di fare la fine del topo.
Il problema più grande?
Il freddo, anche se ero sceso con l'attrezzatura specifica. Avevo teli termici, con i quali si regge per molte ore consecutive. Tutto da copione.
Compreso il cibo?
C’era tutto. Ero molto ben organizzato.
Il fondo dell'abisso è a meno 720 metri; L'ha raggiunto?
Sì, ma non conta nulla. Il bello è la risalita, che purtroppo è stata interrotta.
Cinquanta ore senza contatti. Cosa si prova?
Pensieri contrastanti. In quella nicchia mi sono sentito al sicuro. Mi ha aperto il cuore, era un’ancora di salvezza reale. Ma non potevo non pensare a tutte le ipotesi negative che mio fratello e gli amici, che ben conoscevano quell'abisso, avevano formulato prima della mia discesa.
Paura?
Paura, certo.
Poi, domenica, ha sentito le prime voci.
Mi ha sorpreso sentire i soccorritori così vicini. Sono stati molto bravi in condizioni d'acqua tanto complicate. E' venuto giù Andrea Sbisà, un caro amico. Ci siamo salutati, ci siamo rassicurati a vicenda.
La risalita com'è stata?
Ricordo soprattutto l'aiuto del medico, i primi controlli.
E ora?
Sono quattro giorni che non dormo. Ho inspirato molta anidride carbonica, sento che c'è qualcosa che non funziona benissimo perché i teli termici, che coprono anche l'acetilene per il riscaldamento, sono un po' come una pellicola trasparente, non ti fanno respirare. Ma sto bene.
Un ringraziamento?
Ho avuto molta fortuna. Quella nicchia, in una zona tanto battuta dall'acqua, è stata miracolosa.


Lo speleologo racconta la sua avventura. (Anteprima)


Si ricorda altre situazioni difficili?
Una piena del genere non l'avevo mai vissuta. Come non avevo mai incontrato un temporale in montagna. Capita.
Com'è nata questa passione?
Da ragazzino. La speleologia mi ha sempre attratto. Le vicissitudini della vita a volte ti allontanano da una passione, ma ti resta sempre qualcosa dentro.
Perché ha rischiato?
Perché le piogge erano definite “possibili” ed erano attese solo nel tardo pomeriggio. Mi trovavo in zona dall'll settembre, aspettavo l'alta pressione, un certo periodo di stabilità che non è mai arrivato. Mi sono ritrovato al bivio: o rinunciavo, o ci provavo.
Ci ha provato.
E ho fatto male, perché negarlo. Meglio scendere d'inverno, in una stagione meno ricca d'incognite atmosferiche.
Quindi ci riproverà?
Perché no? Ma lo farò meglio, lo farò soprattutto in un momento più giusto. L'anno scorso non avevo trovato l'ingresso e avevo rinunciato. Quest'anno ho commesso questo grande errore: non ho saputo rinunciare.

Marco Ballico

Da “Il Piccolo” – 28 settembre 2004

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