Storia di una visita alla Silvano Zulla

13-01-2013

 

Piove, aria gelida dai monti, parto per una visita all’Abisso Silvano Zulla. Provo a chiamar Seba, dovrebbe uscire dall’Abisso Led Zeppelin questa mattina; risponde la segreteria telefonica. Il nastro di asfalto lucido si snoda fino ad Opicina dove incontro i mie compagni, siamo quattro gatti: Mauro, Alex, Fulvio ed io. Bevo il mio solito infuso alla frutta e si parte, la strada da fare è poca. Posteggiamo vicino al bunker sulla strada per Zolla, il solito rito della vestizione sotto una modesta pioggerella e via verso l’imbocco che si apre in una dolina poco distante. Sull’orlo di una bancone di calcare un’ esiguo imbocco immette nel primo pozzo, una targa ricorda la morte del giovane speleologo Debelijak colpito da un sasso sul secondo pozzo. Ci infiliamo uno dietro all’altro, Mauro attrezza i frazionamenti, un piccolo pipistrello si trova proprio sulla nostra traiettoria di discesa, cerchiamo di non disturbarlo. Atterrati alla base del primo salto un modesto pertugio da accesso al secondo pozzo, le pareti sono riccamente concrezionate e dopo pochi metri il pozzo si allarga fino a terminare in una piccola caverna; alla base segni di presenza umana: un guanto, un sacchetto con della calce spenta, alcuni frammenti di ceramica moderna, due pezzi di legno sono zeppi di titanetes che evidentemente li considerano come la loro prateria. Una breve risalita conduce all’imbocco del pozzo principale della grotta, la partenza è alquanto approssimativa: un’ anello gira su se stesso, un altro non è migliore il terzo è una placchetta che per fortuna è ben fissata anche se lo spit non è proprio a regola d’arte. All’inizio la verticale è stretta ma dopo una quindicina di metri il pozzo si apre in tutta la sua maestosità le luci sotto di me riescono a mostrarmi la perfetta verticalità di questo baratro, le pareti levigate che in alcuni punti si allungano oltre a dei ponti naturali, sono di un bel calcare chiaro molto compatto. Scendo lentamente per non scaldare troppo il discensore e per gustarmi ogni metro, scendo con il rispetto per una persona morta, scendo per poi risalire alla luce e dar maggior senso alla mia vita. Appoggio i piedi sul fondo, un basso passaggio da accesso all’ultima verticale importante della cavità, un serie di gradoni scavati nella roccia sono chiaro indice di un flusso idrico importante durante periodi particolarmente piovosi. Dopo un passaggio disagevole il pozzo piega formando un meandro che si approfondisce in un altro tipo di calcare, molto più scuro con delle venature di calcite. La corda finisce, bisogna fare una giunzione con relativo passaggio del nodo, eccoci, finalmente siamo sul fondo. L’acqua ha scavato un solco che si perde lungo l’ultimo salto della grotta ma qui la faccenda comincia a diventare fangosa! E’ un peccato, quasi un sacrilegio sporcarsi lungo questi pochi metri che ci separano dal fondo per poi tornare su e sporcare le corde e le pareti. Siamo soddisfatti così, si torna su veloci e contenti di questa bella visita che ci ha riempito gli occhi con questi fantastici vuoti creati dalla natura.

 

Ciao alla prossima

Edo

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