Incidente Piaggia Bella 3 – 13.08.2007

L’incidente ad uno speleologo croato all’interno dell’Abisso di Piaggia Bella, Piemonte.

Nel Cuneese a 2000 metri di quota

Salvato dopo tre giorni lo speleologo croato prigioniero di una grotta

TORINO. Una brutta avventura, che a una persona comune sarebbe costata quasi certamente la vita. Ma Igor Jelevic, croato quarantatreenne di Karlovac, è di quella «razza» speciale e un po’ matta, gli speleologi, che antepongono passione e curiosità al rischio e considerano la zona tra Cuneese, Francia e Liguria uno dei paradisi delle discese.
Una «razza», però, anche in possesso di grande sangue freddo.
Non stupisce quindi che sia uscito con un sorriso alle 12,49 dalla grotta Piaggia Bella sul monte Marguareis, che poteva ucciderlo, dopo avere trascorso tre giorni e tre notti intrappolato, a causa della distorsione a una caviglia e della lussazione di una spalla. Ha ringraziato tutti e ha pure scherzato con i medici, anche per mascherare emozione e commozione, chiedendo loro di non tagliargli la preziosa giacca che indossava. Era molto provato dal dolore e dalla fatica. C’è voluto un autentico spiegamento di forze per liberare lo speleologo, ferito e prigioniero da mercoledì scorso nella grotta a duemila metri di quota: oltre 200 uomini tra soccorso speleologico e alpino hanno partecipato alla spedizione, con elicotteri e altri supporti tecnici, tra cui una barella speciale che funge come un vero e proprio ospedale da campo. Due medici hanno trascorso molte delle ore di prigionia accanto al ferito, riducendogli la frattura e la lussazione e bloccandogli l’emorragia da una ferita a una gamba.
Le difficoltà sono state molto elevate: «Abbiamo avuto problemi in alcuni punti molto stretti e siamo stati costretti ad azionare un sistema di corde e carrucole. Il lavoro più difficile è stato quello di fare uscire la barella dalla parte più stretta della grotta», raccontano. Non c’è dubbio, per i soccorritori, che un elemento fondamentale per salvare la vita al croato, sia stato il suo atteggiamento cosciente e collaborativo.
I rischi fisici non erano solo quelli legati alle ferite e alla mancanza di ossigeno, ma anche l’ipotermia, contro la quale ha agito la «piovra», una stufetta a carbone e con bracci a motorino elettrico usata dall’esercito norvegese. Non solo, ma il ferito è stato avvolto in una tendina di nylon che gli ha garantito circolazione di aria calda nei lunghi momenti di attesa, perché altrimenti, con la temperatura media a 4 gradi, avrebbe rapidamente perso conoscenza.


Un momento dei soccorsi

Da “Il Piccolo” – 13 agosto 2007

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