Luganiga a tutta alè

 

 

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L’estate del 2013 mi ha visto coinvolto in parecchie uscite in zona Canin, non sui soliti altipiani di quota 2000, caratterizzati da tanti abissi, ma in una zona nuova, il Gran Poiz, 500 metri più in basso, dove il solito naso (o culo che dir si voglia) del mio amico Gianni Benedetti ha permesso di trovare un nuovo Luna Park dove giocare a fare gli esploratori, senza faticare troppo su pozzi profondi. Ci sarebbe da disquisire sulla differenza tra naso e culo; sicuramente però, quando il culo si ripresenta troppe volte nell’arco di una “carriera” speleologica ultratrentennale, come nel caso di Gianni, parlare della parte meno nobile dell’essere umano è quantomeno limitativo. L’ultimo ingresso individuato è un ampio sprofondamento a quota 1.650 circa, in cui Gianni e Potle (Grotta Continua) hanno trovato una vecchia camera d’aria usata per tenere il carburo, forse di nazionalità polacca, da cui il nome provvisorio di “La Luganiga”. Ma soprattutto Gianni, sempre lui, si è infilato in una insignificante condottina laterale che lo ha portato ad affacciarsi su un ampio pozzetto, ovviamente inesplorato. Sabato scorso, il 31 agosto, ci vede tornare su in due (i soliti Mauro e Gianni) con un po’ di corde, trapano e materiale da rilievo. Un P7, una sala discreta, una galleria, un P10 e un ampio P50 che esaurisce le corde a disposizione ci portano a un bivio molto arioso. L’unica via praticabile ci fa correre per condotte e gallerie franose fino a una saletta con un bivio. Vista l’ora tarda, nonostante l’entusiasmo e gli ormoni esplorativi al massimo, optiamo per l’uscita, anche perché l’automobile è piuttosto lontana (dolce eufemismo).

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Lasciare gallerie ventose a portata di mano solo perché ti mancano 10 maledetti metri di corda è una delle cose che, oltre a dare fastidio, ti aiutano a dimenticare i muscoli doloranti e fanno si che i cinque giorni di “riposo” sul lavoro (almeno per chi ha l’opportunità di lavorare in ufficio) passino presto. Sabato scorso io e Gianni ci eravamo lamentati perché in due facevamo 104 anni? Basta spargere la voce delle nuove scoperte e in men che non si dica sabato 7 settembre si caricano in macchina Omar (36), Flavia (35) e, udite udite, Alex (18): finalmente la media si abbassa a soli 39 anni, anche se l’effetto placebo non influisce minimamente sui miei 52. Per di più, l’età non porta saggezza, come si crede, e il volume degli zaini rimane proporzionato non alla vigoria giovanile, ma per l’appunto all’età; sta di fatto che l’agognata Casera Goriuda mi vede arrivare con un mega zaino carico, oltre del mio, anche di parte del materiale di Alex, dotato di un sacco troppo piccolo. Pazienza, la compagnia è ottima, così come il cibo (financo mitiche ljubljanske) e i liquidi, e la serata trascorre in allegria, foriera di una domenica pregna di promesse esplorative. La sveglia suona presto e dopo una lauta colazione su per il sentiero prima e per la traccia poi, che rendiamo più sicura nel tratto particolarmente esposto con una vecchia corda destinata a rimanere in loco. Arrivati all’ingresso, rapida vestizione e rapida discesa con riarmo fino alla base del P50, dove 10 metri di corda e 3 fix ci fanno arrivare all’agognata galleria ventosa. Radunata la truppa, iniziamo a seguire queste vie fossili percorse da una notevole corrente d’aria in ambienti piuttosto complessi finché, dopo una cinquantina di metri, troviamo un ometto di pietre con un segno tracciato con un gessetto verde, l’ultima ecotrovata di Gianni l’Istriano. Male, qui il gioco finisce. Bene, ci siamo congiunti con Clemente e con l’ometto lasciato la volta prima da Sandrin alla base dei pozzi da lui discesi assieme a Giusto. Infatti Gianni, memore del suo resoconto, raggiunge in breve una corda che penzola dall’alto. E, al di là del risultato, fa un certo effetto pensare come questo reticolo di gallerie/condotte attraversi tutto il monte, da Est a Ovest, fregandosene della morfologia esterna di pareti evidentemente modellate dall’erosione glaciale successivamente alla loro formazione. A questo punto torniamo indietro rilevando quando l’acuto Omar bisbiglia “Ulo ciò, me par de veder un sporchez de carburo”. Uhm, noi ormai andiamo solo a led! “Ulo ciò, me par de veder un spit”. Uhm, noi ormai piantiamo solo fix! Vuoi vedere che, oltre che in Clemente, siamo arrivati anche in Loch Kozicy, vicino abisso frutto della perseveranza dei polacchi? Un ampio pozzo di una quindicina di metri si spalanca sotto i nostri piedi, ma, memori delle peripezie degli amici dell’Est infognati in strettoie micidiali, decidiamo di rimanere sul livello più alto di cui i polacchi stranamente non si sono accorti. Torniamo su per il pozzetto da 10 e ripercorriamo le comode condotte che avevano entusiasmato me e Gianni la settimana precedente, fino alla saletta dove avevamo lasciato un ometto. Qui ci dividiamo, perché a me ispira una via, a Gianni un’altra. Io propendo per la galleria in salita, fortemente ventilata, e, grazie a uno stretto bypass individuato da Alex, che si affaccia a mo’ di cucù da svariate finestre poste in alto sul meandro, evitiamo anche l’artificiale su un pozzetto di una decina di metri e seguiamo una condotta col pavimento tempestato da marmitte di tutte le misure. Dopo una trentina di metri, intercettiamo una grossa frattura che sprofonda poi su un ampio pozzo di una ventina di metri. Lo scendo solo io, ma con grande rammarico mi ritrovo nelle gallerie già viste e percorse per arrivare alla saletta dell’ometto. Tornando su, pendolo e raggiungo un ampio terrazzo dove mi raggiungono Omar e Flavia, mentre Alex torna da Gianni che ulula in lontananza. Breve arrampicata con strapiombetto e via, ci affacciamo su un ampio pozzo sconosciuto, con aria, che sembra promettere bene. Ovviamente non abbiamo più materiale e lascio l’ultimo fix pronto ad essere usato la volta successiva. Nel dubbio (l’esperienza di Gabomba insegna) mi viene un dubbio molesto e, senza pensarci troppo, lego un ciottolo con un fazzoletto di carta e lo getto scaramanticamente nell’ignoto. Torniamo indietro rilevando e disarmando e, arrivati un po’ delusi nella saletta dell’ometto, scendiamo per la via scelta da quel marpione di Gianni che evidentemente ha un culo più grande del mio (ma ho già spiegato nella premessa il significato di tale organo). Il cunicolo si amplia, diventa galleria, si trasforma in un ampio meandro; un saltino di 5 metri ci deposita in quei tunnel di cui Sandrin farneticava in L2LV! Ampie gallerie (5×3?, o forse 4×2?, comunque GRANDI!!!), che trasudano antichità da ogni punto. Si cammina con le mani in tasca su un comodo pavimento ghiaioso e, anche se la via libera non è poi lunghissima, sembra di stare in paradiso. A un certo punto la galleria si interrompe contro un’imponente frana, che meriterà un tentativo di scavo in altra occasione. Ma anche lateralmente si aprono i comodi imbocchi di un paio di salti che promettono ambienti ampi, anche se non profondi (cosa che poi agli anni miei non dispiace troppo). Prendendo una breve diramazione laterale, ritroviamo Gianni e Alex che stanno ormai risalendo un saltino rilevando. Ci parlano di un ambiente un po’ complesso con un paio di passaggi interessanti che richiedono un minimo di lavoro per essere resi transitabili. Insomma, la zona raggiunta è interessante, varia e comunque ariosa; siamo convinti di aver fatto il colpaccio bypassando le strettoie dei polacchi fermi su ringiovanimenti; noi invece, da fossili viventi, preferiamo percorrere le vie fossili scavate dall’acqua tanto tempo fa. In definitiva: “Rotule, stiamo arrivando!!!”. Rapida poligonale fino alla saletta dell’ometto e via fin sotto il P 50, dove il solito acuto Omar bisbiglia “Ulo ciò, un cogolo involtizzà in un fazzoletto de carta!”. Guardo in su e una ventina di metri più in alto vedo la finestra su cui mi ero affacciato; sembra impossibile come un pozzo possa cambiare aspetto a seconda del punto di vista da cui lo osservi. Per fortuna abbiamo disarmato e rilevato, per cui non occorrerà tornare inutilmente in quel ramo. Per di più, potendo ormai entrare da Clemente e arrivare in zona esplorativa scendendo due soli pozzetti, optiamo per il disarmo de La Luganiga e in breve torniamo a godere della luce del sole. La discesa fino alla Casera è rapida, e le corde fisse si rivelano utili. Poi non rimane che la solita agonia della solita discesa per il solito sentiero che ci riporta alla macchina, e non bastano gli ultimi caldi raggi del sole morente che penetrano romanticamente nel bosco colorando di giallo il tappeto di foglie a non far sentire i mugugni di caviglie e ginocchia che continuano a domandarsi “Ma questo coglione, quando la finirà di andare in giro e di farci soffrire con questi zaini spropositati?”. Affamati , sogniamo l’Agriturismo Goriuda pregustandoci le tagliatelle con lo sclopit e la polenta con salsiccia e frico: questo senza tener conto della maledizione del “barbudo” che perseguita Gianni e che ci fa trovare il locale chiuso. Poco male, ancora un quarto d’ora e il locale Al Buon Arrivo di Resiutta ci accoglie comunque … anche se scendere dall’auto dopo una giornata così non è più semplice e veloce come una volta. Poco male, la prossima volta sarà peggio! E va beh! Siamo nati per soffrire, ci riusciamo molto bene e in molti ci danno una mano!!! L’importante è continuare a divertirsi.

Mauro Kraus

 

Partecipanti: Gianni Benedetti (GTS), Mauro Kraus (GSSG), Flavia Lachin (GSSG), Alex Spazzal (GSSG) e Omar Zidarich (GSSG).

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