Abisso Firn: Pozzo dei Finferli

Abisso Firn “Pozzo dei Finferli”

 

Sabato 16/11/2012, ore 07:00, ritrovo in piazza ad Aurisina; membri della spedizione: Stefano Guarniero (Giusto), Sebastiano Taucer (Seba), Alex Spazzal (Alex/Psyco), il sottoscritto; scopo della spedizione: continuare l’esplorazione e il rilievo topografico della cavità.

Dopo esserci compattati nel “Patrol” di Giusto si parte. Il tempo è ottimo, e giunti a Sella Nevea ci incontriamo con “Celly”, altro membro della spedizione, che oltre a fornici del distanziometro laser indispensabile per il rilievo, ci accompagnerà fino all’ingresso. A questo punto, dopo esserci compattati ulteriormente per far posto al quinto passeggero, si parte su per lo sterrato che costeggia la pista da sci. La salita è sempre un’incognita, perché ci sono dei tratti molto ripidi dove il fuoristrada rischia di bloccarsi, ma questa volta fila tutto liscio e in men che non si dica ci troviamo al rifugio Gilberti. Nello spazio antistante, c’è un’altra jeep ad attenderci, quella di “Gino” (CGEB), che insieme ad altri due soci, sono arrivati la sera prima con l’intento di raggiungere il bivacco DVP. Purtroppo, viste le condizioni del manto nevoso e vista la mancanza di ramponi, desistono dall’impresa per evitare qualche spiacevole incidente. Sistemiamo la macchina e la tenda per il nostro ritorno e partiamo. E’ mezzogiorno passato, la temperatura è attorno allo zero, ma un vento insidioso rende il tutto più frizzante. Il giovane Alex dopo poche centinaia di metri avverte un principio di congelamento alle mani, ovviamente i guanti sono a Trieste; per fortuna il sottoscritto né ha un paio di riserva. A metà della salita che porta alla sella Bila Pec, montiamo i ramponi per evitare spiacevoli scivolate, giunti alla casermetta ci accorgiamo che mancano Seba e Alex. Passato circa un quarto d’ora arrivano, ma ci sono dei problemi tecnici con i ramponi modello Comici indossati da Alex, ogni due passi lo scarpone tende a spostarsi rendendo il tutto alquanto pericoloso. Finalmente dopo innumerevoli tentativi, riusciamo alla meno peggio a sistemarli e ripartire, adesso comincia la parte più impegnativa, perché il sentiero si snoda a mezza costa e c’è il rischio di cadere nei canaloni sottostanti. La neve non è molta, ma è compatta, per cui bisogna stare attenti a come ci si muove. Arriviamo ad un punto nel quale si abbandona il sentiero Cai, e ci si innalza lungo il pendio seguendo una serie di “ometti” di pietra che indicano la direzione per la grotta. In alcuni tratti bisogna piantare le punte dei ramponi con tutto il peso del corpo per evitare di perdere aderenza. Ormai siamo molto vicini alla parete della montagna e, all’improvviso, uno sprofondamento nel terreno ci indica uno degli ingressi, l’altro purtroppo è ostruito dalla neve, e neanche a farlo apposta è proprio quello dove è attaccata la corda. Per fortuna Giusto ha uno spezzone che ci permette di attrezzare l’altro ingresso; non rimane che mangiare qualcosa e cambiarsi velocemente, visto che soffia un vento gelido che rende la permanenza all’esterno poco piacevole. Siamo quasi tutti pronti, quanto Giusto impreca tutti i santi del paradiso, la maniglia è rimasta a Trieste! Dopo un attimo di smarrimento dove cerchiamo una soluzione (tra queste quella di farsi tutti i pozzi col Prussik), subito abbandonata, il buon Sebastiano si offre di cedere la sua maniglia e tornare al rifugio Gilberti assieme a Celly. Entriamo, sono le due e mezza di pomeriggio, il primo pozzetto è un’ po’ friabile, ma poco dopo si spalanca la prima libera di 40 metri, un ambiente bello grande, c’è un modesto stillicidio lungo le pareti che lascia intendere come deve essere la situazione quando piove o si scioglie la neve; un breve ripiano e si riparte, la frattura sulla quale è impostato il pozzo è imponente. Seguono in successione tanti frazionamenti e deviatori e una simpatica giunzione di corda a pochi centimetri dalla cima di un masso, la cui estremità è veramente esigua, ma che per chi ha le gambe lunghe e un buon equilibrio permette di evitare tutta la trafila necessaria per passare il nodo. Scendiamo ancora, ci spostiamo dalla verticale principale dove il pozzo sprofonda chissà dove, ancora un passaggio del nodo e si arriva su una bella cengia prima di arrivare su un terrazzo a -300 dove il pozzo si sdoppia. La via principale è già stata scesa, nostro compito è provare a scendere dall’altra parte, prima però bisogna eliminare alcuni massi pericolanti! Uno in particolare, di dimensioni ragguardevoli, è in posizione precaria ma ci fa penare non poco. Alla fine siamo costretti a montare un paranco per smuoverlo e farlo precipitare una decina di metri più sotto. Inizia la discesa verso l’ignoto, mi offro come volontario per attrezzare la calata. Preso tutto il necessario, fatto il primo frazionamento, scendo fino a raggiungere un terrazzino costituito da una serie di massi incastrati, tra i quali quello di prima, per fortuna la via da seguire si sposta verso destra, in un punto dove le pareti per quanto vicine permettono il passaggio di una persona. Nuovo frazionamento di partenza dopo aver piantato con il trapano un fix, e via giù verso il buio! Le pareti si allargano e dopo pochi metri sono costretto a fare un deviatore per evitare che la corda “gratti”, come si usa in gergo speleo. Le pietre che cadono non lasciano ombra ai dubbi, il pozzo sprofonda vertiginosamente per almeno un centinaio di metri. Mi calo ancora pianto altri due fix e finisce la prima corda del sacco, faccio una bellissima giunzione sul frazionamento, e continuo la discesa fino a giungere ad un piccolo ripiano dove il pozzo si divide in due: da una parte scende la verticale principale sotto uno discreto stillicidio, che durante i periodi di disgelo deve trasformarsi in una doccia, dall’altra scende lungo l’estremità del fuso che ha generato il salto. Optiamo per questo lato visto che è sicuramente più asciutto, ma dopo pochi metri chiude in un piccolo ambiente, dove un arrivo d’acqua ha scolpito il pavimento con una simpatica “gorna”. Fatto il rilievo fino a questo punto da Giusto e Alex, torniamo al terrazzino e guardandomi attorno vedo una cengia correre lungo il fianco del pozzo per una decina di metri, verso una zona che sembra più asciutta. Inizio ad attrezzare un traverso lungo la parete, cercando di rimanere in piedi sullo scalino, ma dopo alcuni metri la conformazione della roccia mi fa sbilanciare verso il baratro. Per evitare un clamoroso pendolo cerco di tenermi basso e di strisciare sul cornicione sul quale sono appoggiato. La scena risulta abbastanza patetica, ma come si usa dire in grotta, l’importante non è il gesto ma il risultato! Finalmente dopo alcuni metri la cengia diventa di nuovo comoda e perfettamente asciutta, purtroppo tutto il materiale a disposizione è terminato, riusciamo solo ad attrezzare la partenza per la prossima uscita. A questo punto non rimane altro che iniziare la salita, in breve tempo raggiungiamo il terrazzo dove avevamo spostato il masso e decidiamo di fermarci a fare un piccolo break ristoratore. Il cuoco Alex ci propone una buonissima zuppa liofilizzata di funghi, peccato che dopo pochi minuti il tutto si bruci sul fondo della pentola, il prezioso contenuto viene usato per battezzare il nuovo salto! Dopo questo piccolo disguido non resta altro che ripartire, la salita grazie ai numerosi frazionamenti, risulta molto veloce. A -40 ci fermiamo per bere qualcosa e per aspettare Giusto che sale per ultimo e vuole disarmare il pozzo d’ingresso; io e Alex usciamo sono le 19:00, ci cambiamo velocemente perché fa un freddo cane e soffia vento sostenuto. Appena pronto, inizio a scavare nel tappo di neve che ostruisce l’ingresso principale alla ricerca del corda, dopo un duro lavoro riesco a creare un varco nel pozzo sottostante, individuo la corda, che purtroppo è ancora sommersa da un notevole strato di neve compatta. Nel frattempo Giusto ci raggiunge e dopo aver valutato la situazione, decidiamo di tagliare gli ultimi metri della corda per non perdere troppo tempo. Finito di sistemare le attrezzature cominciamo la discesa. La distesa bianca che ci aspetta in una notte priva di stelle, non offre nessun punto di riferimento, se non le nostre impronte dell’andata. Raggiungiamo abbastanza agevolmente il sentiero che costeggia l’altopiano, ora comincia la parte più delicata. La neve gelata rende il sentiero in alcuni punti molto ripido, e complice il vento laterale e la stanchezza, la progressione non è per niente banale, perché alla nostra sinistra il pendio è praticamente verticale e cadere significherebbe probabilmente la morte! Finalmente, dopo l’ultima curva, intravediamo i ruderi della casermetta del Bila Pec, siamo praticamente arrivati. L’ultima discesa prima del rifugio Gilberti. Al nostro arrivo sono le 21:30, Sebastiano è rintanato nella tenda montata sul terrazzo sotto il rifugio. Tiriamo fuori il fornello per mangiare qualcosa di caldo, questa volta cucina Seba, siamo salvi! Parliamo della giornata, di come è andata, di quali sono gli obiettivi delle prossime esplorazioni (Seba prestando la maniglia a Giusto si è guadagnato “l’armo” del pozzo principale la prossima volta); non rimane che andare a dormire. Il vento ha incrementato la sua forza, io e Alex dormiamo in macchina, Giusto e Seba in tenda. Le raffiche sono così forti che la jeep viene scossa come uno shaker e il giorno dopo anche gli occupanti della tenda ci confermano che anche loro hanno rischiato di volare via! Preparati i bagagli e fatta una colazione rapida, scendiamo a valle. Anche la discesa non ci riserva sorprese, e vista l’ora decidiamo di fare una piccola battuta di zona lungo un pendio che costeggia la strada prima degli ultimi tornati che portano a Sella Nevea. Dalla macchina sembrava che in parete ci fossero dei buchi interessanti, e noi come tante caprette ci sparpagliavamo nel bosco alla ricerca del “Santo Graal”. Purtroppo non trovavamo niente di particolarmente interessante, in compenso rischiavamo più volte di scivolare o di tirarci addosso qualche simpatica pietruzza, diversamente la vita sarebbe troppo monotona. Esaurita anche questa alternativa, non ci resta che tornare a casa.“La vera intenzione era di fermarsi andare a mangiare un pollo a Resia, ma il buon Giusto doveva andare a casa a mangiare le patate in forno preparate dalla sua dolce metà”, e le patate xe le patate ah!.

 

Alla prossima

 Edo

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