Abisso Gouffre Berger – Francia

Il racconto di una visita all’Abisso Gouffre Berger in Francia, uno dei più bei abissi al mondo e il primo a superare la soglia psicologica dei -1.000

GOUFFRE BERGER : “la rivière sans etoiles”
… una discesa nella storia …

Il Gouffre Berger si apre sui karren o alla francese lapiaz, del plateau di Sornin sul bordo Nord-Est del massiccio del Vercors sopra la città di Grenoble, in Francia.
 “Le Gouffre” la Grotta con la G maiuscola così chiamano i francesi il primo -1000 della storia della speleologia mondiale, anche questo scoperto per ritrovare il fiume misterioso che inquietante e tumultuoso esce con tutta la sua forza dalla Cuves de Sassenage, risorgiva posta 1160 metri più in basso. “Le Germe” è il nome del fiume, sarà un caso? Il germe, la nascita, il nucleo, un concentrato di vita, eppure non era ancora stato trovato il Berger. Molte leggende attorno alla Cuves, la bella  Mélusine che a seguito di un sortilegio viene trasformata ogni domenica sera in sirena per poi ritornare all’alba una giovane fanciulla a patto che il marito non la scopra nuotare nell’acqua. Ovviamente la gelosia del marito lo spinge a scoprire la sua giovane moglie con la coda squamata e alla povera Mélusine non resta che rifugiarsi in grotta. Piange giorno e notte la giovane sirenetta, tanto che le sue lacrime vengono trasformate in pietre dagli effetti curativi per la vista, gli ambienti della Cuves fanno effettivamente risplendere gli occhi.

Il 24 maggio 1953, durante una delle innumerevoli battute di zona alla ricerca della “fonte” della risorgenza di Sassenage, Jo Berger ebbe la fortuna di girare la testa dal lato giusto e gettare lo sguardo proprio in quella depressione di cinque metri dietro agli alberi che vedeva la sua naturale prosecuzione in un pozzo profondo otto, apparentemente intasato sul fondo … uno come tanti altri là in zona … che diventerà “Il Berger”, il fiume ritrovato, il fiume senza stelle, il primo -1000 della storia.
Il giorno dopo la scoperta, Berger scende per primo nella nuova cavità arrivando fino alla profondità di 102 metri, si ferma  alla sommità di quello che diventerà poi il Puit Garby. Nel luglio dello stesso anno sempre Berger assieme a Cadoux, Gontard, Garby, Arnaud, Marry, Poté, Brunel, Lavigne e Sillanoli scende una dietro l’altra le verticali del nuovo abisso intervallate da scivolosissimi meandri fino ad arrivare nell’impressionante “Grande Galerie”, la percorrono, inseguono l’acqua fresca che scorre sul fondo con l’emozione e la consapevolezza di essersi imbattuti in qualcosa di immenso. Si arrestano davanti a un grande lago limpido,  diventerà il Lac Cadoux.
“…on a trouvé la rivière!…” gridano pazzi Cadoux e Garby, avevano finalmente trovato il loro fiume, il mistero della risorgiva di Sassenage stava per essere svelato.
Alle spedizioni successive prese parte anche Fernand Petzl, forte delle esperienze fatte nelle cavità del Dente des Crolles.
Le morfologie sotterranee del Berger  riportano oggi i nomi di questi valorosi e fortunati personaggi.
Nell’autunno del 1953 il capo più anziano e storico del gruppo chiamato “Petit Didier” ebbe l’idea di fare un tracciamento immettendo 36 litri di fluoresceina lungo la prima cascata che s’incontra dopo il lago a -320 metri. 48 ore più tardi l’acqua della Cuves de Sassenage e tutte le fontane si colorarono di verde, il collegamento era stato fatto: l’acqua del Berger alimentava la grotta della bella Mélusine! La cascata prenderà ovviamente il nome di “Petit Général”.

…prima delle 8 siamo già al Molière, l’ultimo parcheggio sul plateau di Sornin prima dei sentieri percorsi da escursionisti e cacciatori, l’appuntamento con Thierry, Franc e Claudine è qui.
S’immagina già una giornata bella e dall’aria frizzante come le altre che fortunatamente ci hanno accompagnato durante le nostre vacanze qui in Vercors. Scendo dalla macchina e, sinceramente, sono emozionata e un po’agitata. Sarà che da quando ho saputo che si poteva visitare il Berger ho fantasticato un po’ troppo sulle sue gallerie, sarà che sono rimasta incantata dai racconti di Casteret, sarà che ho sempre ammirato la speleologia francese però questa volta c’è qualcosa dentro che mi fa sentire già la sensazione di essere appesa sulla corda a scendere…
I francesi e la belga Claudine arrivano, ci scambiamo dei baci sulle guance con ancora l’odore del caffè sulla bocca, strano, ci siamo visti solamente ieri per programmare la visita e fare un minimo di conoscenza, è piacevole.
Svuotiamo l’attrezzatura a terra, cominciamo a scartare le cose superflue, la grotta è armata solo in parte, i francesi vogliono armare tutto in doppio per le visite che verranno fatte durante il congresso europeo da lì a pochi giorni. Incominciamo a riempire equamente i sacchi che dovremmo far viaggiare con noi, due a testa non c’è scampo però dal peso accettabile e dimensioni ridotte.
I francesi si assicurano che oltre ai led avessimo anche le lampade a carburo caricate da usare in caso di necessità.
Si dovrebbe vedere il Monte Bianco da quassù nelle giornate limpide, allungo il collo incassato nello zaino mentre sistemo i bastoncini per la camminata, ma non riesco ad individuarlo anche a causa di una delicata nebbiolina. Si parte.
A testa bassa seguo le gambe di quello davanti attenta a non scivolare sulle pietre consumate del sentiero, la parlata melodica e interrogativa dei francesi ci accompagna. Claudine, non riferisco l’età per solidarietà femminile, è piccolina, occhi vivaci e pungenti, capelli chiari, corti e ben pettinati, naso tipicamente all’insù. La soprannomino Tremalnaik (come la sapiente guida di Sandokan) in senso affettuoso e soprattutto di stima, la vedo così. Ci eravamo conosciute per mail in quanto chi organizzava le escursioni all’infuori di quelle ufficiali del congresso, metteva in contatto i partecipanti per formare dei gruppetti, se possibile. All’incontro di ieri si era presentata con i rilievi di varie grotte della zona, carte dei sentieri, previsioni meteo e addirittura i nostri nomi con tanto di gruppo speleologico, recapiti del campeggio dove alloggiavamo, telefoni vari e assicurazioni. Ho imparato tanto da lei. È nata e vissuta in Africa, parla benissimo italiano ha voluto impararlo perché le piacciono le opere liriche, il bel canto e la maggior parte dei libretti sono in italiano, ora vive in Belgio.
Sono quarantacinque minuti che stiamo camminando con leggeri saliscendi non faticosi, i lapiaz adesso iniziano ad essere visibili, non dovrebbe mancare tanto. Mentre continuo a camminare penso a come sarà là dentro, penso all’acqua che scorre sotto ai miei piedi, penso alla stessa acqua 1000 metri più in basso, penso a Petzl, a Marbach, tutti nomi che ci portiamo letteralmente “addosso”, erano dei grandi esploratori e mi piace pensare che in qualche modo lo siano ancora. Claudine si ferma e indica una macchia nera tra la vegetazione, è l’entrata del Gouffre des Elfes, una seconda fastidiosa e stretta entrata al Berger, una terza, il Puits Marry, è poco lontana entrambe portano alla Grande Galerie. Noi entreremo per l’ingresso principale.
Ci siamo, Thieri butta a terra lo zaino, si gira sorridente e apre le braccia, benvenutì esclama simpaticamente. Mi avvicino al bordo, l’entrata è effettivamente una come tante, non sembra quella di un grande abisso, il solito albero, le pietre coperte dal muschio. In poco tempo siamo pronti, Thierry e Franc andranno avanti ad armare, poi Claudine e a seguire noi che tenteremo di scattare qualche foto. I primi metri sono a cielo aperto, poi un cunicolo ed eccoci sopra al primo pozzo su una specie di piattaforma in legno, pronti per il lancio. Capiamo subito come mai nei sacchi non c’era tanto materiale: armo di partenza con “mailloncini” in alluminio e poi giù, delle belle libere, ovviamente dove possibile.
Scendiamo il Puits Ruiz, il primo incontro con l’acqua che allegra saltella affianco a noi, un bel traverso comodo sotto uno sbalzo di roccia degno di una ferrata dolomitica, non riesco ad illuminare bene, le pareti lucide d’acqua, il calcare molto chiaro sul pavimento, scendiamo, si arriva al primo meandro, né largo, né stretto, super scivoloso, devi viaggiare a metà altezza, con le gambe piegate in un modo poco consono a dire il vero cercando di piantare bene le suole degli scarponi sugli scallops, sinuoso, veramente bello, non c’è tempo per armarlo adesso, verrà fatto al ritorno.
Il Puits Garby e a seguire il secondo meandro non proprio tanto banale sempre per la scivolosità, l’acqua ci accompagna più in basso. Avanziamo con qualche dubbio se magari era il caso di mettere in sicurezza alcuni passaggi un po’ “folkloristici” quando ad un certo punto vediamo dei tronchi di legno incastrati di traverso alla distanza di un metro l’uno dall’altro, parbleu delle passerelle! Piuttosto che piantare qualche spit hanno preferito usare questo sistema: originale, basta fidarsi dei legni!

Superiamo i passaggi con qualche brivido, Claudine nemmeno si scompone sarà abituata a questi armi ecologici… e finalmente sbuchiamo dritti dritti alla testa del Puit Aldo. Spettacolare morfologia verticale, rotondeggiante, levigata, da un lato un finestrone lascia cadere una leggero velo d’acqua, in caso di precipitazioni violente è impossibile risalire. Un bel traverso aereo per conquistare la corda di discesa e poi la goduta libera. Tiro fuori dal taschino della tuta il rilievo, manca veramente poco alla Grande Galerie, chissà come sarà l’entrata, se ti accorgi che sei già dentro o, come a volte capita, abituato ad essere circondato dalla roccia che ti protegge, appena dopo qualche metro ti rendi conto di essere un intruso insignificante in un nero immenso. Un altro piccolo e piacevole passaggio orizzontale che sbuca sopra un laghetto. Le nostre voci cominciano ad essere accompagnate da un leggero eco, il rumore dell’acqua si fa continuo, spontaneamente tutti acceleriamo il passo, l’attenzione viene attirata dal rumore degli scarponi che stanno calpestando dei ciottoli ben levigati quasi tutti uguali, capiamo che stiamo percorrendo qualcosa di “non famigliare”, alziamo la testa ed eccola la Grande Galerie, la stiamo attraversando. Avevano ragione, un fiume senza stelle, immensa, bellissima quasi orizzontale, camminiamo sul bordo sinistro come sul greto di un torrente, piccole cascatelle, piccole pozze, anfratti, sembra di essere entrati nei racconti di Verne, gli altri davanti a me con il sacco giallo in spalla e macchina fotografica in mano, mi regolo continuamente l’illuminazione e continuo ogni tanto a girarmi, ho la sensazione di non essere l’ultima, eppure siamo tutti lì. Una sensazione così l’avevo già provata a San Canziano, davanti alla Caverna Michelangelo, sarà che l’acqua ha una memoria e conserva le energie delle persone intrappolandole nelle sue molecole facendole saltellare e roteare vorticosamente, trasportandole giù in una discesa precipitosa fino a valle, sarà che il fiume stesso è una creatura vivente e la senti. Avremmo camminato per chilometri se ci fossero stati.
Al fondo pulito fa seguito un fastidioso fango limaccioso, stiamo cercando il lago Cadoux e il canotto per passarlo, torniamo indietro, non lo vediamo, sarà più avanti, sulla cima di una collinetta di fango spunta un oggetto rosso, è il canotto arenato, eravamo dentro a quello che in caso di precipitazioni abbondanti diventa il Lac Cadoux ora un avvallamento pieno di depositi. Ormai tutto quello che percorriamo sembra solito e banale, la cascata del Petit General, la Tyrolienne, dal rilievo ci aspetta ancora la galleria Grand Eboulis (la galleria del caos), dovrebbe essere larga 100 metri, un colosso, prima di arrivare alla Salle de Treize campo base delle esplorazioni storiche e nostro ipotetico punto di arrivo.
Alla vista di un primo grande masso e della sua naturale continuazione in un insieme caotico e illogico di altri massi ciclopici e di un buio senza fine capiamo che stiamo entrando nella zona del caos, mai nome più azzeccato. Avanziamo lentamente senza capire bene dove andare, la vastità è mascherata dal materiale di crollo, caos geologico e mentale. Quasi a trequarti di galleria decidiamo di fare una pausa. Tiriamo fuori il fornelletto, il pentolino per il tè, lo zucchero, le bustine, frutta secca, le solite cose, Claudine estrae dal suo sacco semplicemente una roba verde scuro schiacciata come una tigella, le alza i bordi, gira il manico e diventa una tazza, nell’altra mano tiene una bustina bianca e rossa, mi porge la cosa verde dicendomi: un po’ d’acqua calda per favore. Verso l’acqua nella tazza, Claudine tenendola sulle ginocchia apre la bustina con i denti e la svuota dentro, guardiamo curiosi cosa si sta preparando: è una monodose di minestra di verdure istantanea! Non serve altro che una misero contenitore e dell’acqua calda, senza cucinare, senza mescolare. La tazza le sta piegata nella tasca interna della tuta con le altre bustine dentro… eh Tremalnaik! Sorride Claudine, scattiamo qualche foto ricordo non bella, ci guardiamo di sfuggita negli occhi, guardiamo l’orologio, qualcuno si alza in piedi per tentare di riuscire a capire dove siamo, comporterebbe ancora un’oretta di viaggio andata e ritorno, non abbiamo tutta questa voglia di correre a dire il vero, fuori ci hanno raccomandato di rispettare rigorosamente i tempi di uscita, è dura rinunciare, le tredici colonne della Salle de Treize d’altronde non ci tengono a vedere le nostri luci e sentire le nostri voci fastidiose. Tutti d’accordo torniamo indietro.
Ripercorriamo tutto velocemente come le immagini di un film muto, dopo la Grande Galerie non vedo un passaggio basso e imbocco un’altra galleria dritta, non me la ricordo, ho fatto sbagliare tutti, dopo una melma molliccia, l’acqua quasi immobile comincia ad arrivare alle caviglie per occupare più avanti buona parte degli spazi aerei: incredibile sogno.
Ritorniamo sulle nostre orme affondate, prendiamo la via giusta, silenziosi, in fila. Usciamo di notte restando però nelle tempistiche date dai francesi. Non fa molto caldo, recuperiamo gli zaini nascosti tra gli arbusti e telefoniamo a Fabien: tutto bene, siamo fuori.
Sento che in quel momento dovevo trovarmi proprio lì, con quelle persone, con quello zaino, bevendo quell’acqua, con la tuta bagnata, non lo so e non vedo il chiarore ma c’è la Luna piena, è così, sicuro.
Saluto e ringrazio sempre la grotta e il posto dove sono stata, penso lo facciano tutti dentro di loro, è un segno di rispetto. Ora c’è il sentiero e anche la Luna, ne sentivo l’odore.
Ci abbracciamo vicino alle macchine scambiandoci i pacchetti di fazzoletti bagnati contro la cioccolata frantumata, Claudine doveva ritornare in Belgio, ieri aveva guidato da sola per 800Km e domani ritornava al lavoro,  mentre con Thieri e Franc ci vedremo al congresso.
Max ed io arriviamo al campeggio verso le tre del mattino, l’umido s’impossessa dei vestiti e delle ossa senza pietà, ci infiliamo nei sacchi a pelo, chiudiamo le lampade frontali. Per un po’ mi rivedo tutti i passaggi, il fiume, i legni incastrati in meandro poi… è giorno e continuo ad assumere la posizione orizzontale sulla brandina fuori dalla tenda.

Dopo tre settimane, mi arriva a casa un avviso delle poste a mio nome per  il ritiro di un pacco.
L’impiegata mi mette tra le mani un piccolo pacchetto bianco, arriva dal Belgio. Mi siedo in macchina e taglio velocemente il nastro adesivo con le chiavi, tasto tra un mucchio di carte appallottolate: due tazze verdi piegate a tigella e un cordino….eh Tremalnaik!

Clarissa (Cla)

Note:
Il Berger raggiunge una profondità di -1.248 metri per uno sviluppo di 22.605 metri. Forma il complesso Berger-Fromagere dopo il Puits de l’Ouragan mediante la giunzione con il sifone della grotta Scialet de la Fromagere a circa -1000m.

Partecipanti:
Thierry (Fédération Française de Spéléologie)
Franc (Fédération Française de Spéléologie)
Claudine Wagemans (Fédération Belgique de Spéléologie)
Massimo Razzuoli (Club Alpinistico Triestino)
Clarissa Brun (Gruppo Speleologico San Giusto)

Riferimenti bibliografici:
– G.Marry. “Gouffre Berger Premiere -1000. 20 ans d’exploration“ (1976) ;
– S. Caillault ; D. Haffner ; T. Krattinger ; J.J. Delannoy.“Spéléo dans le Vercors  (Tome 1). EDISUD 1997.

 

Qualche foto:


Veduta degli altopiani del Vercors: in fondo a sinistra quello di Sornin

Schema geologico dell’area comprendente gli altopiani esplorati negli anni ’50. La risorgiva di   Sassenage ha una portata massima  di 500m3 al secondo. (preso da Gouffre Berger Premier -1000 G.Marry)


1954. Jo Berger alla  risorgiva di Sassenage
(foto presa da Gouffre Berger Premier -1000 G.Marry)


2008.Cuves de Sassenage: la risorgiva


Interno della Cuves de Sassenage: il Germe, l’acqua che arriva dal Berger.


L’entrata del Berger


Il primo pozzo dopo quello di accesso: il Puit Ruiz


Il traverso prima del Puits Cairn (Ressaut Holiday e Ressaut du Cairn)


Sala prima del meandro


Il primo meandro


La Grande Galerie, la riviere sans etoiles.
(foto presa da Gouffre Berger Premier -1000 G.Marry


Pausa dopo il Lac Cadoux verso le cascata del Petit General


La cascata del Petit General

 

Foto: M.Razzuoli; C.Brun

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