Osservazioni geomorfologiche e idrologiche

“Prime osservazioni geomorfologiche e idrologiche sull’Abisso Massimo (VG 5268) (Carso triestino).”dagli Atti del VII Convegno regionale di speleologia del Friuli Venezia Giulia – Idrologia carsica – Gorizia, 1-3 novembre 1985

M. ANSELMI – RINO SEMERARO
Gruppo Speleologico «San Giusto» – Trieste

PRIME OSSERVAZIONI GEOMORFOLOGICHE E IDROLOGICHE SULL’ABISSO «MASSIMO» (VG 5268) (Carso Triestino)

 

PREMESSA

L’Abisso «Massimo» è stato esplorato dal Gruppo Speleologico San Giusto di Trieste (G.S.S.G.) nell’ottobre del 1983 dopo averne disostruito l’ingresso.
Le esplorazioni che sono seguite hanno consentito di raggiungere la profondità di 227 metri, attraverso una serie di pozzi verticali. La parte terminale dell’abisso è costituita da due pozzi subparalleli di modeste dimensioni, di cui uno è sempre risultato invaso d’acqua alla quota media di metri 0 s.l.m..
Già in premessa comunque ricordiamo che tale quota è stata desunta dal rilievo topografico eseguito con i consueti strumenti e sistemi usati in speleologia, per cui si tratta di uno «schizzo topografico», ciò indipendentemente dall’accuratezza posta durante le misure.
Essendo tali caratteristiche geomorfologiche e idrologiche di per sé peculiari la presente nota intende fornire un quadro dei primi dati in nostro possesso.

 

1. DATI CATASTALI

Abisso «Massimo» VG 5268;
posizione: Lat. 45° 43′ 09″, Long. 13° 44′ 02″;
quota ingresso: m 227 s.l.m. (desunta dalla C.T.R. 1:5000);
profondità: m 227 (fino alla quota media del livello dello specchio d’acqua perenne); sviluppo (in proiezione orizzontale): m 130.

 

2. INQUADRAMENTO GEOLOGICO

L’abisso si apre nei calcari cretacici della successione stratigrafica del Carso Triestino, tra Prosecco e Gabrovizza a nord della località «Campo sacro».
Nella zona affiorano prevalentemente calcari compatti, grigi e grigio scuri, fossiliferi, talora con grossi frammenti di rudiste, micritici e biomicritici, con stratificazione generalmente decimetrica e solo localmente metrica.
La stratificazione è attorno ESE-WNW, con inclinazioni da pochi gradi a 20° verso SSW, localmente sono però presenti pure giaciture con direzioni subnormali.
Rilevamenti statistici hanno messo in evidenza la presenza di tre sistemi principali di fratturazione: secondo NNE-SSW (k1), NE-SW (k2) ed ESE-WNW (k3), quasi sempre subverticali o inclinati di 60°-70°.
Sono inoltre presenti due sistemi secondari, sempre subverticali, secondo E-W (k4) e SSE-NNW (k5).

 

3. INQUADRAMENTO GEOMORFOLOGICO

La geomorfologia dei dintorni è prevalentemente rappresentata dalla Classe di carsismo 3/4 = medio/medio alta; con locali «orizzonti» a classi inferiori, caratterizzate – quest’ultime – da zone a «grize» grossolane e «carso coperto».
Sono presenti numerose doline, le maggiori delle quali del tipo « simmetrico» e «ad imbuto», con i versanti scoscesi. Un allineamento di doline, in zona, secondo NNE-SSW/NE-SW fa supporre delle interrelazioni tra lo sviluppo di queste macroforme carsiche ed una grande frattura (faglia?).
Tale supposizione è avvalorata dal fatto che, come si vedrà, pure l’Abisso «Massimo» è impostato sulle stesse direttrici tettoniche e proprio lungo tale allineamento.
Sempre nei dintorni, numerose sono pure le grotte e con caratteristiche molto diverse tra loro: accanto a pozzi, o sistemi di pozzi, però di modeste dimensioni, si sviluppano anche delle grotte a galleria che, a differenza delle cavità precedenti, risultano sempre abbondantemente interessate da depositi clastici e calcitici concrezionali.

 

4. ASPETTI GEOLOGICI DELL’ABISSO

Nel corso delle esplorazioni è stata eseguita una campionatura delle rocce attraversate dall’abisso; questa è stata effettuata (come possibile, date le difficoltà tecniche) ad intervalli di circa 20 metri, infittendo il prelievo laddove si osservavano evidenti differenziazioni litologiche.
La successione stratigrafica tutta cretacica, dal basso in alto (procedendo dal fondo della grotta verso l’esterno, trattandosi di una successione regolare con giacitura poco inclinata), è la seguente, tenendo presente che i diversi litotipi incontrati sono stati raggruppati in quattro Unità litologiche caratteristiche:
– Unità litologica 1: dal fondo (-227 m) fino a -180 m: -160 m: calcari grigio-grigio chiari, da compatti ad abbastanza compatti, a frattura scheggiosa, biomicritici-bioclastitici, generalmente diffusamente spatizzati, con venule e zonule di calcite spatica.
– Unità litologica 2: da -180, -160 m a -130, -110 m: calcari grigi, con orizzonti grigio scuri-nerastri, abbastanza compatti, a frattura irregolare-scheggiosa, bioclastitici o localmente biomicritici, talvolta debolmente spatizzati.
– Unità litologica 4: da -70 m all’esterno: calcari grigio-grigio scuri e grigio scuri-nerastri (con qualche orizzonte grigio chiaro), compatti, a frattura da concoide a regolare, micritici, solo localmente passanti a biomicritici, poco fossiliferi, talora debolmente spatizzati o con impurezze terrigene.
Particolare attenzione è stata rivolta al rilevamento degli elementi strutturali (principali) che hanno condizionato lo sviluppo dell’abisso.
Assolutamente predominanti risultano determinati sistemi verticali-subverticali di fratturazione, a conferma di quanto già noto, e cioè che questo tipo di cavità verticali sono sempre scarsamente o nulla interessate da sviluppi «interstrato».
Il Pozzo «A» (P. 60) ed il Pozzo «B» sono sviluppati su fratture secondo N20°E-S20°W (secondarie E10°S-W10°N); verso il fondo, il Pozzo «A» su fratture secondo N20°E-S20°W e N30°E-S30°W.
I pozzi «C», «D», «E» ed «F», che costituiscono un ramo laterale, sono sviluppati su fratture secondo N20°E-S20°W e N40°E-S40°W e N40°E-S40°W.
I collegamenti tra il fondo del Pozzo «A» ed il Pozzo «M», cioè i Pozzi «G» (P.20), «H», «I» ed «L» sono – come i precedenti – sviluppati su fratture secondo N20°E-S20°W e N40°E-S40°W. Il successivo grande Pozzo «M» (P.57) – invece – soltanto su fratture N40°E-S40°W (secondarie E40°S-W40°N).
La «traversata» che porta al successivo ampio Pozzo «N» (P. 21) risulta impostata su di una frattura secondo N40°E-S40°W.
I sottostanti grandi Pozzi «N» ed «O» (P. 53) sono entrambi impostati su di un’unica direttrice, sempre secondo N40°E-S40°W, che apparentemente (le grandi dimensioni dei vani non consentono una visione complessiva molto accurata) sembra identificarsi in una sola estesa frattura (faglia?).
I due stretti pozzi che dal fondo del Pozzo «O» portano alla terminazione dell’Abisso «Massimo»: il Pozzo «P» (che si chiude con un fondo d’argilla) ed il Pozzo «Q» (che prosegue inesplorato sotto il perenne specchio d’acqua) sono – come per i pozzi precedenti – sviluppati su fratture secondo N40°E-S40°W.
In conclusione, la prima parte dell’abisso, fino ai collegamenti con il Pozzo «M», risulta impostata sui sistemi di fratture k1 (NNE-SSW) e k2 (NE-SW).
La parte più profonda – invece – caratterizzata dai grandi pozzi P. 57, P. 21 e P. 53, su importanti fratture del sistema k2, lungo direttrici N40°E-S40°W.

 

5. ASPETTI GEOMORFOLOGICI DELL’ABISSO

Nell’Abisso «Massimo» i pozzi sono i morfotipi assolutamente predominanti.
In particolare, il Pozzo «A» presenta una morfologia piuttosto esasperata per quanto concerne i processi dissolutivi che hanno agito nelle fratture: tipiche infatti sono le «espansioni laterali», pur mantenendo le grandi strutture una propria individualità; elementi – questi – che caratterizzano la speleogenesi nei calcari dell’Unità litologica 4.
Il ramo laterale (p. 7-14) ed i collegamenti con la parte superiore del P. 57 corrispondono ad un complesso di cavità verticali con vari gradi di coalescenza, talora anastomizzate da brusche variazioni litólogiche, come quelle che condizionano i passaggi mediani del P. 20 o la forra subrettilinea con insolcamento gravitativo (sembra per sovraescavazione di un’originaria condotta) che collega questa zona con la parte sommitale del P. 57.
La «frammentazione» del reticolo carsico verticale, di cui ne è esempio tipico il ramo laterale (p. 7-14), appare legata con la speleogenesi propria dell’Unità litologica 3, riproponendo schemi già verificati di rapporti tra bioclastiti e «dispersione del carsismo».
Dal fondo del P. 57 (pozzo con caratteristiche morfologiche abbastanza simili a quelle descritte per i pozzi soprastanti) si procede attraverso la «traversata» p. 19-20: passaggio suborizzontale con tratti a condotta efforativa, sovraescavata, con concrezionamento calcitico e abbondanti depositi argillosi; morfotipo – quindi – completamente differente da quelli precedentemente incontrati legati ad una speleogenesi condizionata da acque percolanti, vadose, che testimonia un, se pur breve, episodio speleogenetico attribuibile ad acque circolanti con moti orizzontali in «regime freatico».
La «traversata» sbocca sulla parete, del P. 21 che, con il sottostante P. 53, costituisce un’imponente cavità verticale, con una morfologia abbastanza «regolare» e con abbondanti colate calcitiche ricoprenti i tratti meno inclinati.
Questa cavità sembra rappresentare la confluenza di più vie d’acqua (ora inattive, o attive soltanto in occasione dei maggiori eventi piovosi) la cui azione («concentrazione del carsismo» per «corrosione accelerata») dissolutiva (e disoluttivo-erosiva) ne avrebbe determinato la genesi e lo sviluppo.
Il vasto fondo del P. 53 è occupato da un grosso deposito di argilla, plastica, impregnata d’acqua, che prelude alla falda idrica posta circa 15 m più in basso (-227 m dalla superficie) rintracciabile nei due stretti pozzi terminali caratterizzati da una elevata elasticità.

 

6. IPOTESI SPELEOGENETICA E TENTATIVO DI RICOSTRUZIONE DELL’EVOLUZIONE GEOMORFOLOGICA

Dalle osservazioni effettuate non sembra che le caratteristiche litologiche della successione calcarea attraversata dall’abisso, come pure i piani di stratificazione, abbiano significativamente inciso nella morfogenesi dell’abisso, così almeno come oggi ciò è deducibile dalla geomorfologia del complesso ipogeo. Se tali processi siano avvenuti in tempi molto remoti, ovvero che abbiano condizionato la speleogenesi iniziale è anche possibile, ma in un contesto ormai praticamente «cancellato» dall’evoluzione successiva. Infatti, i rari esempi osservati relativi a dette dipendenze hanno un’influenza del tutto secondaria nella struttura della grotta; ciò è tanto più vero in quanto morfologie che di solito vengono attribuite ai processi citati, come le condotte singenetiche, sono rinvenibili come «vestigia» (peraltro non molto chiare) solo nei collegamenti tra il Pozzo «G» ed il Pozzo «M» e tra quest’ultimo ed il Pozzo «M» («traversata» p. 19-20).
Per di più, nell’unico caso in cui queste «vestigia» presentano un «discreto» stato di conservazione, cioè nella «traversata», ciò che rimane dalla condotta a sezione efforativa è una cavità chiaramente impostata su di una frattura.
Queste peculiari caratteristiche, inserite in un quadro speleogenetico praticamente totalmente dominato da pozzi originatisi da processi di dissoluzione in frattura in un ambiente francamente vadoso, consentono di collocare la morfogenesi dell’Abisso «Massimo», nell’ambito dell’evoluzione plio-pleistocenica (come fino ad oggi si attribuisce) del ciclo carsico – in atto – cui ovviamente questo complesso ipogeo appartiene, in una fase tardiva della cronologia relativa di tale evoluzione.
Ciò a conferma di quanto già osservato per il Carso Triestino in generale.
In tale ottica – comunque – l’Abisso «Massimo», pur raggiungendo una profondità considerevole (è la quarta grotta più profonda del Carso Triestino, in territorio italiano, preceduta solo dalla Grotta di Padriciano, dalla Grotta dei Morti e dalla Grotta di Trebiciano) poco però aggiunge a quanto già esposto in materia da studi precedenti, se non meglio precisa la natura del carsismo sotterraneo «recente» ed i concetti che ribadiscono l’estrema diffusione di questo tipo di speleogenesi nel sottosuolo, i legami tra questo tipo di abissi e grandi fratture, tra queste cavità e gli impluvi delle doline.
In particolare – comunque – è importante segnalare alcuni aspetti che sono emersi dal tentativo di ricostruzione dell’evoluzione geomorfologica.
Dall’assetto in generale e dalle interrelazioni più evidenti tra le cosiddette «forme elementari» (pozzi, e collegamenti, tra loro formanti il complesso ipogeo) si può dar credito ad un’ipotesi che vede lo sviluppo coevo di due sistemi di cavità indipendenti: il primo comprendente le cavità (o più probabilmente parte di esse) fino al Pozzo «M» (P. 57), ovvero fino alla «traversata»; il secondo comprendente i grandi ed ampi Pozzi «N» (P. 21) ed «O» (P. 53) sormontati da un’altissimo camino.
Il primo sistema risulta chiaramente impostato su di una maglia di fratture k1 e k2, il secondo, invece, principalmente su di una grande frattura k2 il cui ampliamento è stato verosimilmente attivato dalla confluenza delle vie d’acqua già citate e dall’apporto idrico proveniente dalla condotta della «traversata» stessa.

 

7. ASPETTI IDROLOGICI

Come enunciato in premessa nei pozzi terminali dell’abisso è stata rinvenuta una falda idrica.
In base a considerazioni di ordine pratico e geoidrologico: l’acqua nel corso delle più volte in cui è stato raggiunto il fondo dell’abisso è sempre risultata perenne, la quota alla quale essa si rinviene è attorno a m 0 s.l.m. e gli innalzamenti relativi osservati, è possibile affermare che si tratti dell’« acqua di fondo» circolante nella rete acquifera del Carso.
Tale scoperta è di grande importanza poiché – come si sa – pochissime sono le grotte che raggiungono la «zona epifreatica» e «freatica carsica» nell’ambito del Carso Triestino.
Oltre al caso della Grotta di Trebiciano, dove però scorre il Timavo ipogeo (o parte di esso) e di alcune grotte nella zona di emergenza dell’acquifero presso Duino invase d’acqua (nonché nell’impropriamente detto «Carso Goriziano»), una falda idrica di questo tipo (nella parte centrale dell’altopiano carsico) è attualmente rintracciabile solamente sul fondo della Grotta A.F. Lindner (presso Samatorza) e sul fondo dell’Abisso dei Cristalli (presso Gabrovizza).
Di queste due grotte, per la prima si possiedono dati idrometrici continuativi sufficientemente illustranti il fenomeno mentre per la seconda soltanto segnalazioni avvenute nel corso di esplorazioni.
Da qui, l’importanza di questa scoperta che permette di accedere ad una «finestra» sulle acque sotterranee del Carso.
Rispetto alle due grotte precedentemente citate l’Abisso «Massimo» presenta un vantaggio nelle ricerche idrologiche.
Sia nella Grotta A.F. Lindner che nell’Abisso dei Cristalli l’«acqua di fondo» è visibile solo in occasione degli innalzamenti del livello piezometrico della falda, in quanto il fondo delle grotte è situato, sia pur di pochi metri, sopra lo 0 marino (quota che nell’Abisso «Massimo» sembrerebbe essere quella media della falda) ed è normalmente rappresentato da imponenti depositi di fanghi (fanghi argillosi e siltosi impregnati d’acqua).
Come già ricordato nel Pozzo «Q» (il Pozzo «P» si chiude con un deposito di fango a circa 2 m sopra la quota m O s.l.m.) è stata sempre vista l’acqua; il pozzo (purtroppo non ancora scandagliato) prosegue invaso d’acqua fino a profondità ignota.
Nel corso delle esplorazioni, due sono stati i significativi innalzamenti del livello piezometrico osservati e misurati.
Di questi, si è cercato di correlare l’evento «di piena» sommaria) indicazione sulla natura dei fenomeni che in loco si verificano.
Nel corso dell’esplorazione dd. 21.X.1984 è stato misurato, nel Pozzo «P», un livello di falda di + 5 m sopra lo 0.
Tale situazione è stata correlata ad un evento piovoso discontinuo iniziato il giorno 18.X.1984; nell’arco di 4 gg. (fino al giorno dell’osservazione) sono caduti complessivamente 20,8 mm di pioggia.
Nel corso dell’esplorazione dd. 24.III.1985 è stato misurato, nel Pozzo «Q», un livello di falda di +15 m sopra lo 0.
Tale situazione è stata correlata ad un evento piovoso discontinuo iniziato il giorno 18.III.1985; nell’arco di 7 gg. (fino al giorno dell’osservazione) sono caduti complessivamente 38,2 mm di pioggia.
I dati pluviometrici riportati si riferiscono alla Stazione meteorologica di Borgo Grotta Gigante (a m 275 s.l.m.) distante 2,5 km dall’Abisso «Massimo».
Non si è tenuto conto, anche perché essendo in possesso di dati sommari «puntuali», di eventi piovosi e idrologici più lontani (vedi Timavo superiore e inferiore).
Resta comunque da dire che vi è una «risposta» molto veloce tra precipitazioni e innalzamenti del livello piezometrico della falda idrica.
Dato – questo – che non fa che confermare l’altissima permeabilità secondaria (fessurazione + carsismo) delle rocce carbonatiche incarsite del Carso Triestino e perciò l’esistenza di una rete acquifera estremamente sviluppata.
I due eventi «di piena» osservati mostrano anche che ad un evento piovoso significativo (21.X.1984) corrisponde una praticamente immediata «risposta» della falda, dato che nei giorni precedenti alla «piena» del 21.X.1984 era caduto solamente 1 mm di pioggia, ma anche che ad evento piovoso in fase di esaurimento, ormai da 2 gg. dalla massima precipitazione (24.III.1985), corrisponde una almeno apparente situazione di «ritenuta» della falda, poiché questa presenta ancora un’escursione positiva di ben 15 metri.
Quanto a correlare questi fenomeni idrologici di rilievo alla locale situazione geologica e carsica si può solo supporre che tali «risposte» della falda possano anche essere messe in relazione con l’esistenza di una zona di canalizzazioni carsiche ben sviluppate e in buona (?) parte libere da sedimenti clastici, legate forse ad incarsimenti lungo la grande frattura che così ampiamente condiziona i vasti pozzi sovrastanti il fondo dell’abisso.

 

NOTE BIBLIOGRAFICHE

Archivio del G.S.S.G. (1983, 1984, 1985): Abisso Massimo – Descrizione e note esplorative. Abisso Massimo – Relazione morfologico descrittiva (a cura di M. Anselmi). Dati rilevati durante le esplorazioni.
Stazione meteorologica di Borgo Grotta Gigante (1984, 1985): Bollettino – Osservazioni meteo-rologiche eseguite nel 1984. Dati inediti del 1985.

 


Ubicazione dell’ingresso


Rilievo dell’Abisso Massimo




Sezioni

 

 


Pianta d’insieme

 


Elementi geostrutturali

 

 

da “Atti del VII Convegno regionale di Speleologia del Friuli Venezia Giulia – Idrologia Carsica – Gorizia, 1 – 3 novembre 1985.

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