Tragedia sul Canin 3 – 24.02.2006

Tragedia sul Monte Canin. Muoiono due speleologi ungheresi investiti da una slavina.


“Così abbiamo salvato gli speleo sul Canin”
di Giulio Garau a pagina 4


Conclusa a Sella Nevea la missione di soccorso partita da Trieste. Dopo la risalita dal «Gortani» il volo in elicottero al campo base

Salvi gli speleo: “Torneremo in Friuli”

A valle i quattro ungheresi. Dolore e disperazione per la morte dei due compagni

di Giulio Garau

SELLA NEVEA. Sono partiti in dieci e sono tornati in otto: due travolti dalle valanghe, uno vivo per miracolo. Gli ultimi quattro portati in salvo ieri mattina da una squadra di speleo triestini del Soccorso dopo un'operazione durata tre giorni. Tanto esperti come speleologi, poco come alpinisti, soprattutto della zona del Canin dannatamente pericolosa d'inverno per le slavine. Non è bastato il fatto che non fosse la loro prima esperienza, erano già stati sul Canin e nell'abisso Michele Gortani. La spedizione speleo ungherese è diventata una tragedia. Ieri mattina alle 7.30 il contatto radio tra l'imboccatura dell'abisso, a quota 1600 dove si apre il ramo intitolato agli ungheresi, e il quartier generale delle operazioni a Sella Nevea. All'alba le condizioni meteo erano buone: non c'era nebbia e non nevicava. Approfittando della pausa del maltempo l'elicottero della Protezione civile si è alzato in volo e dopo pochi minuti ha raggiunto l'imboccatura dove attendevano i quattro ungheresi assieme alla squadra del soccorso: Adam Szolt, ungherese ma triestino di adozione che ha fatto da interprete e che conosceva alcuni ungheresi, Paolo Alberti, Davide Crevatin e Paolo De Curtis.Uno ad uno sono stati portati a Sella Nevea: poco prima delle 10 la tragica avventura è finita. «Torneremo in Friuli, avete montagne troppo belle, grotte uniche e questa tragedia non ci allontanerà da questi posti…», hanno detto i quattro che hanno pianto e si sono disperati quando hanno saputo che due loro compagni (Attila Szabo e Anna Erdei i loro nomi) avevano perso la vita sotto una valanga.
Sul Canin il gruppo ungherese c'era stato tante volte. I sopravvissuti, otto persone, tutte originarie della zona del lago Balaton, non abbandoneranno le grotte friulane dove da quindici anni si inoltrano almeno due volte all'anno. Nella loro ultima tragica escursione stavano esplorando un ramo laterale dell'abisso Gortani.
La macchina organizzativa per il salvataggio degli speleologi ungheresi ha smobilitato. La macchina mediatica, con giornalisti di moltissime testate, con le Tv satellitari italiane ungheresi e slovene che hanno seguito la vicenda, lentamente si è spenta. Non era una missione di salvataggio, i quattro ungheresi non erano in pericolo nella grotta, non era accaduto alcun incidente. Il pericolo era all’esterno: maltempo e slavine. Il programma prevedeva l'uscita sabato (domani) nel mezzo di una perturbazione che tra oggi e domani è attesa in zona. Appena usciti avrebbero fatto la stessa tragica fine dei loro due compagni emersi dall'abisso lunedì scorso e poi travolti da una doppia slavina. La prima li aveva risparmiati, la seconda li ha uccisi seppellendoli sotto tre metri di neve. Un terzo che era con loro si è salvato per miracolo ed è riuscito a dare l'allarme. Nell'abisso Gortani c'erano ancora sette ungheresi, nessuno sapeva della tragedia. I soccorsi si sono mossi immediatamente ed è stata una corsa contro il maltempo. Martedì le squadre coordinate da Renato Palmieri della stazione di Cave del Predil hanno intravisto tre speleologi della spedizione all'imboccatura della grotta e li hanno portati a valle. Mancavano 4 compagni, impegnati a 400-700 metri di profondità. È scattato dunque il soccorso speleologico guidato dai triestini: Spartaco Savio il delegato regionale che coordinava da.Trieste, Zsolt Adam che si è calato nella cavità assieme a Paolo Alberta, Davide Crevatin e Paolo De Curtis che attendevano all’imboccatura ed erano collegati via radio. Nella notte di mercoledì sono stati raggiunti, sono risaliti e sono emersi ieri matta. Poche ore dopo l'elicottero che li ha portati a Sella Nevea. Solo allora hanno saputo della tragedia dei loro due compagni Attila Szabo 34 anni e Anna Erdeim di 30


L'elicottero porta in salvo gli speleo ungheresi (Anteprima)


Uno dei drammatici momenti del recupero e del salvataggio




Zsolt Adam, di origini magiare ma triestino di adozione, racconta la diffìcile opera di persuasione con i giovani che non sapevano della valanga assassina

“Dodici ore assieme a loro per convincerli a uscire dall'abisso”

SELLA NEVEA. Non sapevano nulla di quanto era successo all'esterno, della tragedia dei loro due compagni morti sotto una slavina, isolati nell'abisso Gortani, intenti ad esplorare anfratti e cavità a una profondità tra 400 e 700 metri. Anche il tempo aveva assunto una dimensione irreale. E la vera impresa per la squadra di soccorso speleo dei triestini non è stata tanto quella di calarsi nell'abisso Gortani, colmo di difficoltà tecniche e pericoli, quanto quella di convincere i quattro ungheresi rimasti nella grotta a uscire prima del previsto, spiegando i rischi di maltempo, senza raccontare subito della tragedia. La notizia li avrebbe sconvolti mettendoli in pericolo.
«Non sapevano niente, quando mi hanno incontrato erano contenti di vedermi li sotto. Li conoscevo, avevo parlato con loro prima della spedizione. Anch'io poi ero stato in quell'abisso, ci sono stato dentro una settimana. Quando li abbiamo incontrati c'è stato un momento di euforia. Non potevo raccontare subito quanto era successo, ho dovuto iniziare a prepararli».
Zsolt Adam, ungherese di origine, triestino, di adozione che guidava la punta avanzata della spedizione del soccorso speleo nell'abisso Gortani è sceso da poche ore a Sella Nevea, stanco dopo tre giorni di operazione, racconta il suo incontro nelle viscere del Gortani con il gruppo di ungheresi. E' dal 95 in Italia, lavora a Trieste in un noto negozio di articoli sportivi di montagna e fa parte della squadra di soccorso speleologico del Friuli Venezia Giulia. «Le operazioni di soccorso, sono sempre dure, solo che stavolta il problema non è stato quello della discesa in grotta, quanto la difficoltà nel comunicare. Cercavo di trovare sempre le parole adatte da usare, non è stato facile». Zsolt sapeva che il gruppo doveva uscire il sabato, c'era il rischio del maltempo, bisognava uscire prima possibile e ha iniziato a convincerli a
terminare in anticipo la spedizione. «Ho raccontato loro che stava arrivando una grossa perturbazione, che fuori nevicava e c'era forte pericolo di valanghe, piano piano li ho convinti, senza fare tante domande, a uscire». I primi due sono stati raggiunti al campo base, a 250 metri di profondità. Più in basso c'erano gli altri due. «Non ho messo loro fretta, non volevo che si insospettissero e nemmeno che lasciassero in grotta il materiale e l'attrezzatura. Bisognava però avvertirli e accelerare l'uscita. Il mio collega del soccorso, Paolo Alberti, doveva però rimanere alla radio che era in comunicazione con l'esterno. Ho proposto a uno degli ungheresi di scendere con me per raggiungere gli altri due compagni che stavano salendo. Per avvisarli che a causa del maltempo dovevano interrompere le esplorazioni. La grotta è lunga e i percorsi sono impegnativi».
L'appuntamento era verso le 23. «Li abbiamo raggiunti e siamo rientrati tutti al campo base. Abbiamo chiacchierato, ci siamo scaldati con un po' di tè e del cibo. E abbiamo iniziato le procedure per l'uscita. Ho cercato fino all'ultimo di evitare loro brutte sorprese e di nascondere le notizie della morte dei compagni. Eravamo in grotta, un contesto rischioso, non sapevo come avrebbero reagito emotivamente, volevo dir loro la verità quando ci saremmo trovati tutti in salvo». Verso le 4 il gruppo è emerso all'imboccatura dell'abisso, ad attenderli c'erano agli altri soccorritori triestini, Davide Crevatin e Paolo De Curtis.
«Fuori c'erano tutti gli zaini, le attrezzature. Le abbiamo raccolte e abbiamo atteso la mattina bevendo tè e facendo colazione». Alle 7.30 il primo collegamento radio, poi si è alzato l'elicottero e il gruppo è stato trasferito a Sella Nevea. ma gli ungheresi avevano già iniziato a capire cos'era accaduto. Una volta a terra ecco la notizia della morte di Attila e Anna: i quattro sono scoppiati in un pianto di sconforto.

g.g.


Gli ungheresi appena usciti dall'abisso (Foto Anteprima)



Come sopravvivere

Sella Nevea. Lo speleologo, oltre ad essere un appassionato, deve essere innanzitutto un atleta. Un atleta perché non si sa mai quello che si può incontrare quando si affrontano cunicoli, grotte, anfratti, sifoni e altre insidie. Fondamentale è l'attrezzatura: un casco in vetroresina con, sul davanti, una torcia elettrica che, in caso di necessità può funzionare anche a carburo. Poi il sottotuta e la tuta: entrambe di materiale particolare, resistente all'acqua e in grado di mantenere costante la temperatura corporea. Poi gli scarponi o gli stivali a seconda se le grotte da esplorare siano o meno percorse da torrenti. Ogni speleo ha in dotazione una serie di corde statiche , poco sensibili agli allungamenti, e due imbracature. Guanti e maniglie per facilitare lo scorrere delle corde completano la dotazione. Lo zaino deve contenere tute e altri indimenti di ricambio, uno o più sacchi a pelo per il riposo, e un fornello. Che cosa si mangia in grotta? Cibi di facile cottura, barrette di cioccolato, zollette di zucchero, frutta, affettati e cibo liofilizzato. E poi: carte per orientarsi e, in alcuni casi, anche le bombole di ossigeno. Ma per evitare questo ingombro le spedizioni si organizzano in inverno, prima del disgelo, quando le cavità non sono colme d'acqua.

Da “Il Piccolo” – 24 febbraio 2006

Nessun commento presente.

Nessun trackback