Intrappolato sul Canin 2 – 27.09.2004

L’odissea di uno speleologo intrappolato in una cavità sul massiccio del Canin (Alpi Giulie)

Rintracciato e soccorso, ma non è stato possibile portarlo fuori. Forse oggi risalirà da solo dopo quattro giorni passati nella grotta allagata del Canin

È vivo 430 metri sotto terra lo speleologo triestino

TRIESTE. «Sono qui, sono qui». I soccorritori sono rimasti piacevolmente sorpresi nel sentire la voce di Stefano Krisciak, che non dava notizie di sé da tre giorni dopo essere disceso da solo giovedì scorso in una profonda grotta sul monte Poviz, nel massiccio del «Canin». L'abisso «Gronda Pipote» è profondo 720 metri e l'uomo è stato rintracciato a quota -430.
Gli sono stati portati viveri e bevande e un medico lo ha visitato, trovandolo, tutto sommato, in buona forma. Aveva resistito grazie a una tenda di fortuna che si era costruito da solo. A quelle profondità la temperatura sfiora lo zero. Gli speleologi non sono riusciti però a riportarlo in superficie: oggi probabilmente, dopo quattro giorni, risalirà pian piano da solo.

A pagina 12




Trovato dai soccorritori Stefano Krisciak, il triestino di cui non si avevano più notizie da giovedì, dopo che si era calato nella “Gronda Pipote” sul Canin

Salvo lo speleologo: era a 430 metri sotto terra

L’uomo è rimasto bloccato nella grotta per 72 ore: l’acqua gli impediva di muoversi. Questa mattina il recupero


Il gruppo di soccorritori attorno alla tenda di Krisciak, a quota 1800 metri.


«Stefano Krisciak è salvo. I soccorritori hanno sentito la sua voce. Ieri pomeriggio ha urlato: “Sono qui, sono qui”. Gli hanno chiesto se stava bene e lui ha risposto di sì».
E' soddisfatto Alessio Fabbricatore, coordinatore della centrale operativa di Padriciano del Soccorso speleologico. Ieri ha diretto le squadre che hanno partecipato alle ricerche dell'amico triestino finito giovedì scorso a 430 metri di profondità dell'abisso «Gronda Pipote», sul monte Poviz, nel massiccio del Canin.


Sopra, il massiccio del Canin.

«Domani mattina (oggi, ndr) – spiega Fabbricatore -probabilmente risalirà da solo. Gli abbiamo portato bevande e viveri per rifocillarsi. Un medico lo ha già raggiunto per accertarsi delle sue condizioni di salute. Tutto bene. È stato sorpreso dalle piogge. Per fortuna è riuscito a trovarsi un riparo. E lì ha aspettato i soccorsi».
Per tutta la mattina ieri si è temuto il peggio. Quell'abisso è profondo 720 metri e anche se, secondo gli esperti, dal punto di vista tecnico :non è particolarmente difficile, le piogge di venerdì lo hanno reso di fatto impraticabile. Violente cascate impediscono sia la risalita che la discesa. Insomma, una trappola. Una, trappola da cui uscire è praticamente impossibile. Per questo motivo, ieri mattina si pensava di far esplodere l'ingresso dell'abisso, cosi da farci passare una barella. Ma poi alle 14 la situazione si è conclusa per il meglio. Una squadra lo ha raggiunto. E lui ha urlato: «Tutto okay, sto bene».
L'abisso «Gronda Pipote» è stato scoperto dalla Commissione grotte «Boegan» nel 1979, ma da molti anni nessuno ci mette piede. Il suo nome -«gronda» come la grondaia e «pipote», una brocca in terracotta usata in Spagna – indicano come la grotta in caso di piogge estese come quelle dei giorni scorsi, si possa trasformare in una trappola.
«Stefano Krisciak – aggiunge Fabbricatore – è uno speleologo esperto. Non si è fatto prendere dal panico. Aveva;con sè da mangiare e bere. Domani (oggi,ndr) quando risalirà in quota l'elicottero lo  porterà per i controlli in ospedale. Ma non è stato facile raggiungerlo. E' stato necessario sostituire tutte le corde e sistemare quelle nuove al di fuori della portata dell’acqua».


L'elicottero della protezione civile, e la tenda di Krisciak.


Ma cos'è effettivamente accaduto? Come è possibile che uno speleologo così esperto si sia fatto sorprendere dalla pioggia? «Non capisco – dice Fabbricatore – non era certo un mistero fatto che venerdì era prevista una perturbazione particolarmente intensa. Per fortuna tutto è finito bene. Stefano ci spiegherà di sicuro cosa è accaduto e anche perché ha deciso di scendere nonostante il brutto tempo…… …».
«Ora spero che ci ripensi, che non si metta più in queste situazioni», dice al telefono turbata la zia Marisa Krisciak. Con lei ieri pomeriggio c'erano altri familiari. Commossi e contenti per il lieto fine. «Ma ho avuto tanta paura. È un tipo strano Stefano. Fa sempre queste esplorazioni solitarie. Lo so che è bravo, che è un esperto, ma in questi casi non si sa mai come va a finire. Stefano è stato in Spagna e pochi mesi fa anche in Francia ma, da quanto ne so, ci ha ripensato non scendendo dove avrebbe voluto. Oggi ho ricevuto decine e decine di telefonate di amici e appassionati…».
È durata più di tre giorni, dunque, l'emergenza. Una sessantina di soccorritori sabato mattina avevano raggiunto il campo base di Sella Nevea, vicino alla caserma della Guardia di Finanza, per organizzare il recupero. Già l'altro ieri quindi, con l'ausilio degli elicotteri della Protezione civile, gli speleologi avevano piazzato le tende a quota 1.800, a pochi metri di distanza dall'imbocco della grotta. A turno, poi, i soccorritori hanno iniziato a scendere nell'abisso mettendo in sicurezza la discesa e consentendo ai compagni di scendere ancora. Così fino alle 14 di ieri. Quando è arrivata la bella notizia. «Stefano è vivo», hanno urlato i soccorritori. Al campo base ieri c'era anche il fratello Roberto. Lo hanno visto piangere dalla gioia.


L'accampamento dei soccorritori sul Monta Poviz.


Corrado Barbacini



IL PRECEDENTE

26 aprile 2002. Un debole sorriso, una battuta scherzosa con gli altri speleologi, l'abbraccio dei genitori, le foto con i cronisti. Poi la porta dell'ambulanza si chiude e il motore si avvia per l'ospedale di San Daniele. Si era conclusa così l'odissea di Marco Sticotti, lo speleologo triestino di 23 anni feritosi all'interno della Risorgenza di Eolo, un 'insieme di meandri, gallerie, pozzi e piccoli laghi che si addentrano per chilometri nel monte sovrastante Avasinis, in Comune di Trasaghis. Un posto pericoloso soprattutto quando piove.
Per percorrere un chilometro e mezzo con il ferito adagiato su una barella, i volontari del Soccorso speleologico avevano impiegato più di 20 ore. Erano state costruite teleferiche, tesi cavi, messe in opera pulegge e carrucole. In gran parte dei tratti orizzontali la barella era passata lentamente.di mano in mano. Il braccio del ferito era bloccato dalla lussazione verso l'esterno e ha reso ancora più disagevole il recupero.

Da “Il Piccolo” – 27 settembre 2004

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