Campo interno 6-13/01/2013

Un sogno resta sempre un sogno. Dall’ultima volta, in cui avevo avuto la possibilità di unirmi ad un campo in zep, sono passati quasi 3 anni. In mezzo, una figlia ed una ex-fidanzata, a cui non andava giù la passione per le grotte, e per cui avevo smesso per un lungo periodo.

 

Ed ora eccomi qui, di nuovo in forma, a coronare i pensieri e i sogni di molti giorni di astinenza da buio. Grazie a Cavia (Marco Sticotti, CGEB), che come  project director, è sempre alla ricerca di persone da imbucare, ci organizziamo per una permanenza di una settimana. All’interno i lavori da svolgere sono tanti, e le zone esplorative sono molto lontane dal campo. Da una esagerata stima iniziale sui partecipanti, che faceva preoccupare per le dimensioni del campo, ci ritroviamo in quattro: Leo Szbabo (HTC Explo Team), Stefano “Giusto” Guarniero (Grotta Continua), Marco “Cavia” Sticotti (CGEB) e il sottoscritto. 

Il ritrovo e fissato per la sera prima a Sella Nevea, in tre partiamo da Trieste, e con Leo, che viene dall’ungheria, ci ritroveremo al piazzale dell’ex funivia. Dopo i saluti rituali, andiamo a festeggiare l’ultimo giorno all’aria nel bar vicino, a colpi di boccali da mezzo litro. Alquanto alticci, una volta chiuso il bar, ci muoviamo verso il camper, dove, una scorta di birre in lattina, ci da ancora un’oretta di festeggiamenti. Qualcuno colora la neve intorno al camper, poi alle 3 tutti in busta, domani sveglia presto.

Ci alziamo per prendere la prima funivia, colazione al bar della vecchia stazione, poi di corsa a preparare gli zaini. Saliamo fino al Gilberti, con sosta obbligata per salutare i gestori, altro caffè e altra funivia, che ci porta fino a Sella Prevala, da qui, sotto gli sguardi degli sciatori incuriositi dai nostri monster-zaini, ramponi ai piedi, Giusto con gli sci, cominciamo i traversi che ci porteranno fino all’ingresso. Purtroppo gli accumuli dovuti al vento ci alternano pezzi ghiacciati, perfetti per noi con i ramponi, ma non graditi da Giusto, a pezzi di neve fresca, dove sprofondiamo fino a quasi la vita. Arriviamo dopo quasi due ore all’ingresso, ostruito dalla neve, con la sonda individuiamo il punto esatto, e ci dedichiamo allo scavo. Prepariamo, a fianco, una truna, dove depositare gli zaini ed avere un posto valido per ripararsi in caso di maltempo in uscita.

Scendendo, ripercorro a ritroso i pensieri che le volte precedenti mi schizzavano nella testa, i luoghi delle soste mi ricordano il freddo delle attese, le allucinazioni da sonno in uscita, le pietre che scappavano con le proprie zampe. Pare incredibile, probabilmente dovuto alle continue discese in Partigiano di quest’anno (che hanno sicuramente temprato il fisico), la discesa scorre tranquilla, i ricordi di infiniti meandri svaniscono ogni volta che ne percorriamo uno. Tra poche soste veloci per mangiare qualcosa e bere un pò di sali, in meno di 12 ore siamo al campo. Lo sistemiamo, per prepararlo alla nostra permanenza. Mentre Leo si posiziona all’interno della tendina di teli termici, noi tre decidiamo di dormire su un pianoro poco sottostante al campo, per evitare problemi di condensa, cercando così di bagnare il meno possibile i sacchi a pelo. Appena terminata la disposizione dei posti letto mangiamo qualcosa di caldo, e, dal sacco, per far una sorpresa a tutti, estraggo mezzo litro di grappa. Anche Leo però, ha portato giù quasi un litro di palinka (si scriverà così?), così, mentre continuiamo a discutere sul da farsi il giorno seguente, interrompiamo continuamente i discorsi, per brindare a future esplorazioni (e ad una ipotetica uscita bassa della grotta).

Il giorno seguente, appena rifocillati con un abbondante colazione, partiamo alla volta dei rami terminali. Procedendo con la dovuta calma, passiamo il vecchio fondo, ed arriviamo alle “anniversary gallery” in meno di due ore. Questo era il punto in cui mi ero fermato al precedente campo, cui avevo partecipato. Da buona guida turistica, ora Cavia mi illustra il percorso man mano che percorriamo la continuazione delle gallerie, con commenti e aneddoti delle punte esplorative. Dopo una zona di crolli, intercettiamo la galleria discendente che ci porterà alla grandiosa “galleria Dio Negro”, un ambiente di dimensioni davvero notevoli, che con un’inclinazione parecchio accentuata, dove in alcuni punti sono necessarie addirittura alcune corde, ci porta alla profondità di -1000. Foto di rito e poi cominciamo a risalire, seguendo dapprima una grande galleria sviluppata su una frattura verticale con forma ad ellissoide allungato, che ci obbliga a salire per mezzo di corde, che Leo durante la progressione recupera arrampicando in libera. Le piene dell’estate scorsa le hanno trascinate verso l’alto, in direzione del flusso d’acqua. Altra conferma che questi ambienti in caso di piena sono completamente sommersi, e percorsi da considerevoli flussi d’acqua. Raggiungiamo, con un ultima risalita, delle condotte orrizontali, denominate “Scirocco gallery” per la quantità d’aria che al momento dell’esplorazione le percorreva, in questa occasione però il flusso d’aria e debole, la causa si potrebbe ipotizzare in un ipotetico secondo ingresso completamente ostruito dalla neve. Percorriamo per km queste condotte tonde, dal diametro che mediamente si aggira intorno ai 2 metri, leggermente allungate ai lati, perchè impostate ora su un interstrato. Bellissimi depositi di sabbia fossile erosa dall’acqua, che adornano alcune parti della galleria, sono testimoni di un passato fenomeno di riempimento di queste zone, ora in una ulteriore fase attiva. Le gallerie si trasformano nuovamente, tornando a svilupparsi prevalentemente su frattura verticale, con forma ellissoidale. Il fondo, ricoperto di fango nero, diviene scivoloso, rallentando la progressione. Da qui in avanti si incontrano svariati camini da cui provengono diverse cascate, rendendo nuovamente attiva questa parte di cavità. L’acqua, infatti, l’avevamo vista per l’ultima volta alle “gallerie Dio Negro”. Arrivati a quasi 400 metri dalla fine delle esplorazioni dello scorso anno, bloccate da una immane frana ancora insuperata, una risalita di pochi metri immette nelle “Dog gallery”, nostro obbiettivo di oggi. Anche qui le esplorazioni si erano fermate dopo appena un centinaio di metri, a causa di problemi all’impianto d’illuminazione di chi aveva arrampicato la risalita. Sono passate 6 o 7 ore da quando siamo partiti. Decidiamo ora di dividerci in due, Giusto e Leo procederanno con il rilievo, mentre assieme a Cavia ci dedicheremo all’esplorazione. Dopo appena un centinaio di metri di basse gallerie, una parte parzialmente allagata blocca Cavia, che essendo provvisto di pedule e non di stivali in gomma come il sottoscritto, decide di non bagnarsi calzature e sottotuta alla prima giornata. Aspetto dall’altra parte che ci raggiungano gli altri, ma quando arrivano , il solo provvisto di stivali, Leo, decide di passare. Gli vado incontro per continuare assieme il rilievo, che decidiamo di fare in contemporanea all’esplorazione, per evitare di dover ripercorrere una seconda volta questi splendidi e comodissimi ambienti. Dopo aver strisciato per quasi un km, coperti di fanghiglia nera e bagnati, arriviamo ad un tratto percorso da corrente d’aria, ma un passaggio obbligato in acqua ci consiglia di desistere dal tentativo di esplorarlo. Continuiamo ad esplorare e rilevare, ad un bivio passato in precedenza, stavolta in una condotta più comoda ed in discesa, con un piccolo torrentello sul fondo, e presto giungiamo ai bordi di un laghetto-sifone, dove l’acqua ci sbarra la strada. Percorrendo a ritroso il percorso dell’andata, esploriamo alcune diramazioni laterali, che si ricollegano tutte in diversi punti del percorso principale. Finalmente ri-sbuchiamo nelle “scirocco gallery”, e nello stesso momento sentiamo sopraggiungere anche Cavia e Giusto, che nel mentre, sono andati a rivisitare la frana terminale, alla ricerca di qualche possibile passaggio lasciato inesplorato, purtroppo senza successo. Viste le nostre condizioni (infangati e bagnati), si complimentano a vicenda per non aver preso parte alle esplorazioni. Ci sistemiamo per una lunga pausa, con molti thè e sali caldi, e pranzo a base di salumi scaduti da qualche anno ed abbandonati al campo durante le scorse punte. Dopo una gara  di assaggi (a cui non ho voluto prendere parte), di salami dai colori variegati, formaggi frizzanti e piccanti, e altri generi alimentari di forme e colori mutevoli, premetto loro una giornata abbracciati ai rotoli della carta igienica. Con molto coraggio, sfiliamo i piumini e ci infiliamo le tute. Partiamo veloci per scaldarci un pò, e quando siamo “in temperatura”, cerchiamo di mantenere un ritmo calmo e costante. Percorriamo a ritroso la strada dell’andata, scendendo per poi risalire nuovamente, dopo 6 ore siamo al campo.

Appena finito di cenare, tra un discorso e l’altro, un brindisi a base di grappa e/o palinka, e una sigaretta, andiamo alticci ad infilarci nei sacchi a pelo.

Per la giornata seguente, ci dividiamo in due squadre. Procediamo uniti fino alla “galleria dio negro”, da qui, Cavia e Leo si dedicheranno al rilievo di una galleria di circa 500m esplorata durante lo scorso campo, riguardando così l’ostruzione finale, mentre Giusto ed io procederemo fino al punto dove, nella “scirocco gallery”, si dipartono le “dog gallery”, le gallerie esplorate ieri. Qui, ci dedicheremo alla risalita di un camino molto promettente, dalla parte opposta dell’attivo, dove sembra esserci qualche possibilità di intercettare livelli più alti di gallerie, presenti spesso più a monte, nelle scirocco. Ci salutiamo, e durante il tragitto, grazie alla macchina fotografica di Cavia e gli illuminatori della commissione, approfittiamo per scattare qualche foto e girare un pò di filmati, che potrebbero tornare utili per una eventuale presentazione al prossimo speleo-raduno. Per strada ci fermiamo incuriositi da un bivio, non notato il giorno precedente, dopo qualche decina di metri in gallerie basse, decidiamo di tornare sui nostri passi per proseguire verso la risalita, e chiedere poi con calma a Leo, informazioni sulla zona. Arrivati sul posto, discutiamo un pò sul da farsi e decidiamo la linea di salita, parto io. Fino al primo terazzo arrampico un facile diedro, da qui 5-6 metri di artificiale dove ogni cosa che cerco di martellare si stacca, per la gioia di Giusto che sta sotto a fare sicura. Vedo la possibilità di uscire in libera fino ad un terrazzo, ma la paura di volare, in questo posto, dove per un eventuale soccorso ci vorrebbero settimane a farti uscire, mi fa super-prudente, mettendo ancora due fix nel mezzo. Esco arrampicando gli ultimi metri, e preparo un armo per far salire anche Giusto, visto che la corda sta finendo. Riparto in una facile contrapposizione, che ci fa guadagnare almeno dieci metri, pianto un fix per proteggermi, e mi infilo in un passaggio più stretto che torna verso l’ambiente principale. Da qui recupero la corda e preparo un armo fisso nell’ambiente principale del camino, molto più comodo. Scendiamo entrambi per riorganizzare il materiale, ho finito i fix e le corde. Torniamo su in ordine inverso, ora sarà Giusto a salire. Un’artificiale obbligata per i primi metri richiede un pò di tempo, c’è la possibilità ora, di uscire in arrampicata, ma come nel mio caso, anche a Giusto salgono le paranoie, e si protegge abbondantemente. Arrivato ad un terrazzo, fa salire anche me. Riparte, in ambiente più stretto, che permette una buona contrapposizione, e veloce arriva fino ad un successivo ripiano, da dove però non sembrano esserci molte speranze di prosecuzione. Sentiamo in quel momento le voci in basso di Cavia e Leo, urliamo loro di stare lontani dalla verticale, per evitare qualche sassata in testa, e, risistemando gli armi, scendiamo. Arrivati a terra, sale Leo rilevando, per poi disarmare. Mentre con Cavia ci scambiamo le esperienze della giornata, sentiamo un urlo provenire dalla risalita, e vediamo una luce volteggiare verso il basso e schiantarsi a terra con un tonfo. Un brivido ci percorre la schiena, ma per fortuna ci rendiamo conto, non appena ci avviciniamo, che si tratta solamente del casco, mentre Leo e saldamente ancorato alla corda. Scende a recuperare l’unica sua fonte di illuminazione, che, dopo un volo di almeno 40 metri, e miracolosamente integra. Scopriamo che il casco e sprovvisto del cinghietto di chiusura, ma siccome gli seccava cambiarlo (si sa, gli speleo sono affezionati al materiale usurato), è sceso con il casco così conciato, per un campo di una settimana, con sopra montata una Scurion da 800 euro, ah, gli ungheresi. Finito il rilievo, durante il quale, noi tre di sotto, ballavamo per scaldarci, schizziamo verso il campo, sulla strada del ritorno, mostriamo a Leo il bivio notato all’andata, dove alcune più basse gallerie, continuano nella direzione opposta alla direttrice principale. Decidiamo di lasciare in loco trapano e corda, per tornare domani ad esplorarle. Alleggeriti i sacchi, arriviamo al campo veloci, e dopo la solita cena a base liofilizzata, stramazziamo a terra nei sacchi a pelo.

Ultimo giorno di esplorazione, ci dividiamo in due squadre: Cavia e Giusto resteranno in zona campo, per allargare un passaggio in zona Papo’s Gallery (gallerie esplorate con Papo e Cavia durante il campo di novembre 2009), mentre, Leo ed Io, ci porteremo nuovamente in zona scirocco, per rivedere il bivio notato ieri e rilevare il possibile. Partiamo a razzo, e in meno di tre ore siamo sul posto. Cominciamo da una piccola galleria, quasi completamente occlusa da sedimento, che però si rivela interessantissima. Poco più avanti una strettoia tra volta e sedimento ci fa percepire la quantità d’aria che la attraversa. Scavando con la chiave d’armo, ormai preso da follia esplorativa, riesco a spennellare qualche centimetro, e mi infilo, forzo abbastanza da farmi venire dubbi sul ritorno, fortunatamente arriva Leo con la mazzetta d’armo per allargare ulteriormente. A colpi di chiave da una parte, e martello dall’altra, scolpiamo la sagoma di Leo nel pavimento, e in pochi secondi è anche lui da questa parte. Una prima risalita su china fangosa mette alla prova l’equilibrio, per regalarci poi una sala ingombra di enormi massi di crollo. Sale Leo arrampicando tra le pietre che sembrano altamente instabili. Dopo una decina di metri arriva sul colmo della frana, ma da qui, non si riesce a distinguere un punto in particolare da cui provenga l’aria, e andare a toccare questo macignodromo sarebbe da pazzi (e se lo dice uno speleo ungherese!!!!). Rilievo e via verso la galleria attigua. Entriamo rilevando, questa è già stata esplorata ma mai rilevata, dopo circa 300m arriviamo alla conclusione, Distox in tasca e facciamo retrofront. Una breve occhiata ad un meandro discendente attivo da cui proviene un’interessante corrente d’aria, e fermo sopra un pozzo da 10, Leo mi assicura che qualcuno dei loro sicuramente c’è già stato, dubbioso acconsento al ritorno al campo (ma il prossimo inverno torno a vederlo). Anche il ritorno si svolge veloce, in due ci sono meno pause, e in poco tempo siamo alla tenda. Troviamo piazzatissimi Giusto e Cavia, danno da pensare che quasi non siano ancora partiti. Ci raccontano dell’avventura nell’uso di trapano, punte e quant’altro necessario ad allargare il passaggio, di cui non erano per niente pratici. Dopo alcune peripezie riescono ad allargare quanto basta per passare oltre, da qui una piccola risalita impone un ritorno al campo per cercare qualche “scurton marzo de corda” per poter proseguire. Ritornati sul posto, arrampicano 10m circa, fino ad un passaggio orizzontale, ed una ulteriore risalita di una quindicina di metri. Senza corda non si risale, ma l’aria sale tutta per di qua, e sulla sommità si intravede un passaggio orizzontale circolare, probabilmente una galleria, bel colpo. Festeggiamo come ogni sera, e forse di più, questa sarà la nostra ultima notte al campo, diamo fondo a tutte le scorte alimentari deperibili, e pieni come “ovi” ci buttiamo nei sacchi a pelo. Una lunga notte ci attende, per riuscire ad uscire di mattina presto, partiremo intorno alle 8-9 di sera, il che ci lascia quasi 14 ore di sonno.

Smezziamo la notte in due, ci alziamo per bere qualche infuso, ci ributtiamo a dormire, nuovamente in piedi per mangiare qualcosa. Spaccati tra il sonno e la stanchezza accumulati, la voglia di riemergere dall’oscurità e la consapevolezza del massacrante viaggio di ritorno che ci attende di qui a poco. Suona la sveglia: questa è quella definitiva, emergiamo dai nostri sacchi e, con calma, molta calma, cominciamo a preparare i materiali. Il sacco stracolmo mi preoccupa e mi fa ripensare a tutta la serie di meandri che ci aspettano, quasi quasi resterei ancora una settimana o più pur di non tornare fuori adesso. Approfittiamo di quel poco spazio residuo per portare fuori anche alcune bombole, residue da vecchi campi e mai riportate indietro, ovviamente dopo il dovuto trattamento a martellate per guadagnare spazio. Partiamo malinconici, chissà quando ci torniamo, e cominciamo la lenta via di risalita. Pozzo dopo pozzo, meandro dopo meandro, cerchiamo di aiutarci con i sacchi il più possibile nei passaggi angusti, e con veramente pochissime pause, in meno di 12 ore (forse 10 o 11), siamo fuori, NEVICA. Una rapida occhiata alla zona circostante e alle nostre tracce lasciate durante il percorso all’entrata, ci fan capire che ha iniziato da poco.. Ci cambiamo rapidamente ed aspettiamo il momento di visibilità migliore per partire. Giusto davanti, con gli sci segue le tracce fatte all’andata, ad un certo punto decidiamo di abbassarci un pò per evitare gli accumuli da vento che si potrebbero essere formati alla base dei canaloni. Passiamo vicino ad un buco nella neve sciolta, da cui fuoriesce aria, e maledisco me stesso per non avere un GPS con me in modo da farci un punto. Chissà dove siamo, quest’estate, senza neve, la zona sarà irriconoscibile. In due ore siamo a sella Prevala, e da qui, grazie alla nuova funivia, in 5 minuti siamo già davanti ad una bella birra al rifugio Gilberti. Si festeggia alla grande, fino a chiusura del rifugio, e poi ci spostiamo più a valle, dove continuiamo a gozzovigliare in agriturismo, il ritorno è un’agonia, le palpebre sono pesantissime, i finestrini spalancati, in fin dei conti siamo svegli da 30 ore, 15 delle quali spese a risalire in grotta e battere traccia in neve fresca, teniamo duro e arriviamo a destinazione. A volte, in uscita da grotte che portano così al limite il proprio fisico, la prima parola è mai più, e pian piano che passano i giorni e ci si dimentica della sofferenza subita, e restano solo i ricordi di stupende esplorazioni, così una voce ci convince a ritornare laggiù (spesso il più bastardo compagno). Ma questa volta è diverso, questa volta so già che tornerò, e la notte continuo a sognare di risalite future, di gallerie ancora sconosciute, di pozzi inesplorati e di tante giornate future passate ad inseguire il buio inesplorato.

 

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