Dall’inizio al collettore

Abbiamo ripreso in considerazione questa cavità all’inizio del 2012 un pò per caso.

L’avevamo già rivisitata pochi giorni prima in occasione di una battuta di zona, e qualche anno prima ancora, con Bizio, in un giorno piovoso che ci aveva impedito la punta in Gabomba. L’aria è sempre tanta, e presente in maniera pressochè costante, ma sempre in aspirazione. Non avviene una inversione del flusso con il cambio delle temperature, cosa che al tempo stesso ci attirava e ci rendeva perplessi.

Nell’occasione di quella stessa battuta di pochi giorni prima però avevamo individuato, già consultando il catasto online a dir la verità, un’altro buco promettente che emetteva una gran quantità d’aria. E lì i giorni seguenti avevamo cominciato, decisi a portare a termine lo scavo, che facilmente ci avrebbe portato via parecchio tempo e con molta probabilità fatto ricadere nell’oblio degli “scavi da fare” la grotta del Partigiano.

Il fatto di aver compiuto una battuta di zona senza consultare i gruppi locali li ha fatti imbestialire: quella non è zona nostra, il buco l’avevano già individuato loro ma aspettavano di finire altri lavori prima di incominciare, se vengono i triestini a scoprire le grotte qui non resterà più niente per i nostri giovani, etc. etc. etc.

Aspettando di definire le cose non per telefono ma face to face, decidiamo il giorno prima di provare una due giorni di scavo al Partigiano, poco convinti di ottenere un risultato immediato. La frattura da allargare dove l’aria viene aspirata infatti, non è delle più invitanti.

Cominciamo, e il primo giorno, complice anche la buona qualità della roccia, riusciamo ad avanzare parecchio ed oltre si sente battere la pietra in un pozzo che sembra essere sulla ventina di metri di profondità. Il fatto che aspiri ci agevola con gli scavi, l’aria è sempre pulita e i ritmi possono essere più serrati.

Torniamo due giotni dopo, grazie al ponte della befana, oggi ci incontreremo con i gruppi locali alle cinque del pomeriggio al solito Bar al Panorama, nostra tappa obbligata per festeggiare ogni esplorazione. Entriamo in grotta già forniti di corde e attacchi fiduciosi della buona riuscita della giornata, ed in effetti in poco più che mezza giornata riusciamo ad aprire l’imbocco del pozzo.

Cominciamo a sistemare gli armi, scendo io. Il pozzo è spezzato in due da un terrazzo, ed in tutto avrà venti-venticinque metri. Sceso al fondo mi fermo per aspettare gli altri ed avanzare insieme, e nel frattempo, mi rollo il solito “cicchin de la vitoria”. Mi raggiunge Omar. Arrivano anche Mauro, Edo, Flavia, Tiziana, Alex e Fulvio. Sul fondo ci sono due possibilità, un arrivo consistente d’acqua e il meandro che se la porta via. Intanto che si aspetta che scendano tutti ci tuffiamo sull’arrivo, saliamo per parecchi metri tra vaschette di concrezione e colate, fino ad arrivare alla solita frana che sbarra il passaggio verso l’esterno, torniamo sui nostri passi. Intanto sul fondo del pozzo ci sono tutti.

Proviamo a percorrere il meandro, ci infiliamo a turno uno dopo l’altro, ma dopo qualche metro c’è una curva che respinge tutti. Un pò sconsolati e un pò euforici della scoperta, ci riuniamo tutti prima della risalita, torneremo a scavare la prossima volta.

Fumando una sigaretta e godendoci ancora quei nuovi ambienti prima di iniziare a risalire verso la superficie, Mauro individua una nicchia qualche metro sopra il meandro, sembra nascondere un passaggio, magari un by-pass. Sale Omar e pendolando con la corda riesce ad afferrare una stalagmite e armare il passaggio. Un buco effettivamente c’è, ci urla, smazzetta un pò il passaggio e si infila, lo sentiamo di nuovo battere al di là del passaggio, poi ci invita a salire portando corde ed attacchi. Lo raggiungo. Lavoriamo ancora un pò i passaggi per renderli più agevoli e poi scendiamo, dieci metri, e siamo in uno slargo proprio oltre quella curva che ci aveva femato, dall’altra parte il meandro continua più largo, ci infiliamo e pochi metri dopo ci troviamo su un nuovo salto, anche questo di modeste dimensioni. Chiamiamo gli altri, vengono anche loro a vedere, intanto il trapano ci ha abbandonato e la batteria di riserva si trova sopra lo scavo.

Viene proposto di tornare la prossima volta a scendere il successivo salto, ma la fame di esplorazione non è ancora appagata e come un razzo torno in cima ai pozzi a raccogliere la batteria, raggiungo nuovamente gli altri e una volta attaccata la batteria al trapano scopriamo che non funziona, “tiremo zo do cristi per sfogarse”, di nuovo si insinua in qualcuno la voglia di tornare la prossima, risposta: MAI!!!! Utilizziamo tutto quel che può assomigliare ad un armo naturale: pietre incastrate nel meandro, concrezioni microscopiche, etc. Scendiamo anche questo salto e dopo pochi metri di comodo meandro un altro salto, armiamo anche questo dopo che Alex ci raggiunge con un altra corda e un paio di cordini. Questo salto è più propenso a farsi armare senza trapani, i naturali sembrano messi quasi apposta nella giusta posizione. Sul fondo il meandro fà una retroversione, andando dritti ci si ritrova in una via fossile che però chiude dopo pochi metri. Seguiamo il meandro, sul fondo è più stretto, lo prendiamo in alto, dopo una decina di metri ci ferma una colata di concrezione. Sotto sembra più largo, lo provo a prendere basso da dietro, arrivo, strisciando al limite, fin poco oltre la concrezione, ma proprio qui c’è un passaggio troppo stretto, oltre sembra largo. Ritorno pian piano verso posti più comodi dove mi aspettano Omar ed Edo, dico loro quello che ho visto, facciamo una piccola pausa e programmiamo lo scavo per la prossima volta. Sono ormai le sei passate, siamo già un’ora in ritardo per l’incontro, per fortuna fuori nell’altro scavo c’erano Bizio, Sganga e Marino che avranno sicuramente intrattenuto i rappresentanti dei gruppi locali. Usciamo contenti e raggiungiamo gli altri al Panorama, soliti discorsi: qua xè nostro, qua xè vostro, là si, là no, noi difendiamo la zona dove si trova ora la nuova scoperta, a cui avevamo già accennato telefonicamente, del resto ormai non ci interessa altro, siamo ancora troppo euforici per metterci a fare discorsi “politici”. Aspettiamo solo di finire la giornata con cena e bevuta annessa, per festeggiare degnamente l’inizio di questa nuova avventura.

Le due uscite successive sono interamente dedicata all’allargamento del “meandro del trombino perduto”, così chiamato perchè Mauro quasi ci rimette lo stivale. Alla fine della seconda giornata riusciamo ad infilarci, Flavia per prima, e percorrendolo nella parte alta con alcuni passaggi stretti ma praticabili raggiungiamo il bordo di un altro pozzo, soliti dieci metri e una sala sul fondo. Tornano indietro Flavia e Omar a recuperare corda e attrezzature, che abbiamo lasciato al di là dei passaggi. Scendiamo il pozzo. La sala è una confluenza che riunisce le acque del meandro appena percorso a quelle di un cospiquo arrivo, da risalire con una facile arrampicata. Scegliamo ovviamente per prima la via che scende, e percorrendo ancora qualche decina di metri, ci troviamo sul bordo di un nuovo salto, senza più materiale. Torniamo alla sala e risaliamo in libera l’arrivo, fino ad un passaggio che richiede almeno un fix per proteggersi su un passaggio più delicato, oltre si vede una saletta, usciamo con calma e soliti festeggiamenti tra Panorama e trattoria.

La volta successiva la dedichiamo ad allargare ancora il meandro, per renderlo più comodo, mentre Bizio risale i camini lungo il percorso, trovando una sala e collegandoli tutti assieme attraverso un meandro sul soffitto. Quando si fa tardi ci riuniamo tutti e andiamo avanti in esplorazione, mentre Mauro, Edo e Fulvio restano ancora a lavorare sul meandro. Arrivati al limite esplorativo precedente armiamo il salto, anche questo dieci metri si e no, ma subito dietro la successiva curva del meandro, uno sbarramento di concrezione ci impedisce di avanzare senza una adeguata opera di allargamento, e tutta l’aria va via di qua. La prossima volta stenderemo la linea elettrica fin qua per poter lavorare col generatore. Torniamo alla sala e armiamo la risalita fatta la volta scorsa, poi continuiamo a salire. Oltre c’è la saletta vista l’altra volta, e da là si innalza un camino di una ventina di metri. Lo arrampico facilmente e faccio un armo alla sommità, continua con un meandro percorribile, anche se stretto, mollo un fischio e mi raggiunge Omar. Ci infiliamo. E’ un continuo alternarsi di pozzetti di due-tre metri dove c’è abbastanza spazio per starsene in due, e meandro al limite della percorribilità, fino ad un punto in cui c’è una lama di mezzo e non abbiamo la mazzetta per mollargli due colpi, torneremo la prossima volta. Raggiungiamo gli altri e lentamente riguadagnamo la superficie.

IL RILIEVO IN 3D FINO ALLA ZONA DELLO SCAVO IN CONCREZIONE

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La domenica seguente ci dedichiamo al passaggio da allargare, con un pò di problemi all’inizio. La prolunga che abbiamo portato non arriva allo scavo, usciamo Omar ed io e ci precipitiamo nello scavo di Marino, Sganga e Bizio dove sappiamo esserci in loco la linea elettrica, e la “rubiamo”. Ri-scendiamo veloci, e una volta arrivati cominciamo subito a lavorare, ancora qualche piccolo inconveniente che prontamente risolviamo. Lavoriamo veloci e a fine giornata riusciamo a passare e percorrere un bel pezzo di meandro fino ad un salto, riesco a scenderlo arrampicando, gli altri non si fidano e mi aspettano lì (basta un mona per gruppo), io corro avanti a esplorare ancora un pezzo, fino ad un altro salto non arrampicabile, soliti dieci metri. Torno dagli altri e anche stavolta usciamo festanti.

Altra domenica, altra volta al Partigiano, oggi facciamo due squadre, Omar e Flavia continueranno il rilievo, io seguirò per disarmare le risalite fatte da Bizio, una volta presi i dati da rilievo. L’altra, composta da Mauro, Edo e Alex corre per prima sul fondo a continuare ad allargare il passaggio per renderlo quantomeno comodo.

Quando ci ritroviamo il lavoro è quasi finito, si spostano le ultime pietre e intanto si insaccano le corde. Partiamo tutti meno Edo, che resta indietro, purtroppo si è completamente bagnato per allargare il passaggio (come era successo anche a noi la volta prima), e deciderà di uscire per non prendere freddo rinunciando all’esplorazione (peccato). Noi armiamo il salto sceso in arrampicata l’altra settimana, poi il salto dopo, da qui parte un passaggio basso, tutto completamente levigato dal fondo al soffitto, ci rendiamo conto che quando piove forte in queste zone non deve essere bello campeggiare, dovremo fare attenzione alle condizioni meteo anche se siamo a 100 metri si e no di profondità. Continuiamo in meandro per diverso tempo, scendendo piccoli salti fino ad arrivare in una saletta, dove l’attivo si perde sul fondo in passaggi impraticabili. In alto c’è la continuazione del meandro dove va via anche l’aria, ma è ingombra di pietre e lame, dedichiamo una mezz’ora a spostare pietroni, e finalmente si passa. Mauro decide di tornare pian piano verso l’esterno, per vedere le condizioni di Edo (noi non sappiamo se sia uscito, e lo crediamo ad aspettare al freddo in zona scavo). Noi siamo drogati e abbiamo ancora una corda, andiamo avanti. La usiamo immediatamente oltre il passaggio appena allargato, un pozzo (sempre da dieci) ci porta in un meandro veramente notevole, larghezza media di un metro e mezzo, un’altezza di dieci metri almeno, e vento in faccia. Si è invertita lacorrente d’aria, che scende dal partigiano e risale nell’a-monte della galleria meandriforme, e una corrente d’aria arriva da valle. Cominciamo a scendere arrampicando sulle pareti per non finire nelle marmitte che si trovano sul fondo della galleria, alcune di anche tre metri di diametro e altrettanti di profondità. Percorriamo un bel pezzo di gallerie, che ci sembra infinito, siamo esaltati dalla bellezza di quello che stiamo esplorando, e ci rendiamo anche conto che quello che fin prima ci sembrava un meandro con una gran portata d’acqua, ora è diventato solo un piccolo arrivo di questo sistema. Probabilmente siamo finiti nel collettore che tanto cercavamo di raggiungere dalla Gabomba. Percorriamo la galleria fino ad un piccolo saltino, con una marmitta sul fondo, che ci invita a mettere una corda per evitare il bagno, ma non nè abbiamo più e così qua ci fermiamo, e vista l’ora decidiamo di non percorrere la galleria a monte ma di lasciare il tutto per la prossima. Usciamo di buona lena per recuperare il tempo perduto e non far perdere troppo tempo algi altri che ci aspettano fuori.

Stenderemo il rilievo appena possibile fino alla galleria per poter capire la direzione che stiamo prendendo, se ancora verso l’interno del monte, o se gira seguendo la valle, con la possibilità di collegarla con la Gabomba e continuare nella direzione ipotetica di Vedronza (non è ancora stata fatta la colorazione).

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